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Società

L’IRRILEVANZA TRISTE

GIANFRANCO FABI - 05/04/2019

appelloC’è un apparente paradosso nelle più recenti analisi dei più stimati sociologi: infatti continua a crescere la stima e la fiducia verso Papa Francesco mentre continuano a diminuire i giudizi positivi sulla Chiesa e in particolare sulla sua capacità di orientare le scelte politiche ed individuali. Solo un quarto degli italiani frequenta con una certa regolarità la messa domenicale e insieme cresce la percentuale di quanti ritengono che la Chiesa dovrebbe limitarsi all’ambito della fede lasciando spazi all’autonomia di scelta e di valutazione delle singole persone.

Il paradosso è ancora più evidente se guardiamo alle scelte politiche. Papa Francesco, che come detto raccoglie ampi consensi, non si stanca di richiamare la necessità di essere accoglienti, di operare in maniera costruttiva verso le persone che cercano di emigrare. Eppure le preferenze dei cittadini sembrano sempre più orientate verso i partiti e i movimenti che predicano ed attuano la politica dei porti chiusi e dei rimpatri forzati.

E nella politica italiana non c’è più nessun partito che si richiami, se non in modo individuale, sporadico e del tutto strumentale, ai valori cattolici e al messaggio della Chiesa. Anche nel Pd, che pur dovrebbe avere nelle sue radici un partito come la Margherita di ispirazione apertamente cattolica, continua a prevalere, con la nuova segreteria, l’affermazione acritica degli slogan radicali basati sui cosiddetti “diritti civili” che appaiono sempre più frutto dell’individualismo elevato a regola sociale.

Nella storia politica italiana peraltro la presenza dei cattolici è sempre stata affidata all’impegno delle singole persone e non è mai stata il braccio esecutivo del potere della Chiesa. Basti ricordare la battaglia per la libertà di don Sturzo, che pure era un sacerdote, così come i contrasti tra De Gasperi e Pio XII, o l’ostilità della Chiesa all’apertura a sinistra negli anni ’70 del secolo scorso.

Ma fino al crollo dei tradizionali partiti dopo Tangentopoli la presenza dei cattolici, magari criticabile, incerta e contrastata, era comunque visibile, aperta e significativa. Ora di cattolici ne troviamo in ogni partito, ma sembrano essere irrilevanti, quasi incapaci di far valere i propri valori, succubi di una ideologia dominante che si definisce laica, ma che è sostanzialmente areligiosa se non spesso antireligiosa.

Alla base c’è una trasformazione sociale che va nella direzione della frantumazione della tradizione, del superamento acritico dei fondamenti naturali, dell’esasperata difesa di una presunta libertà personale al di fuori e al di sopra dei valori condivisi. Siamo in una società sempre più secolarizzata, una società in cui crescono la diffidenza e il rancore, in cui i rapidi slogan sui social network sostituiscono la capacità di dialogo e di approfondimento.

È così il vero paradosso sta nel fatto che un’evoluzione sociale come quella attuale avrebbe bisogno come l’ossigeno di valori su cui costruire un futuro più solido e capace di coesione sociale. Ma chi potrebbe e dovrebbe annunciare questi valori si trova isolato ed emarginato: una voce che grida nel deserto o che non riesce a farsi sentire tanto è forte il rumore degli altri.

A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”. Così iniziava l’appello che cent’anni fa Luigi Sturzo lanciò per fondare con il partito popolare una nuova presenza dei cattolici nella società. Una presenza che fin dall’inizio poneva la ripresa dei valori come obiettivo e il dialogo come metodo. Perché in politica nessuno può avere il monopolio della verità, ma tutti possono cooperare perché, pur con diversi punti di partenza, si possa realizzare un vero bene comune. E in questa prospettiva i cattolici dovrebbero avere molto da dire e da offrire.

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