Ormai il main stream, come si usa dire, recita così: òccupati dei lazzi tuoi, e se vuoi sentenziare su quelli altrui, fatti eleggere. È la tendenza imperante della politica al governo. Vietato muovere critiche sia pur timide, esprimere previsioni meno che fauste. Chiunque la pensi diversamente dalla coppia Di Maio-Salvini che telecomanda il docile Conte, vien messo all’indice non solo per quello che esprime, ma per l’ardire d’averlo espresso. Giudicato un atteggiamento inaccettabile: o figlio di tenace/irrazionale prevenzione, o conseguenza di malevolo/studiato complottismo, o tutt’e due le cose insieme, bizzarramente combinantesi.
Che il differente parere arrivi da grandi istituzioni internazionali, storiche organizzazioni economico-sociali, autorità terze nell’impianto costituzional-nazionale e dunque al di sopra delle parti, importa zero. Guai a chi disturba (di recente la Ue, l’Ocse, l’Fmi) i manovratori. E se poi la realtà, con il passare del tempo, conferma -vedi le drammatiche vicende del bilancio statale- che talune opinioni han trovato riscontro nei fatti, peggio per i fatti. La fantasiosa narrazione in auge racconta che sono indipendenti dalle persone. Non ne sono influenzati e non le condizionano. Appartengono a un mondo che può esistere o non esistere a seconda della convenienza del momento. Perciò, alzata di spalle e via. Chi se ne frega, tireremo dritto, tanti nemici tanto onore, eccetera.
Non è la resurrezione del fascismo. È la sepoltura del confronto politico, civile, morale. Del buonsenso popolare. Di cui il populismo rappresenta l’opposto: la negazione del discutere approfondito, sostituito dallo sloganismo d’effetto mediatico.
Come al solito, aiutano a capire il presente le riflessioni del passato, quando si ha il tempo di risfogliare un libro. Per esempio “Un regno di matite”, quaderno d’appunti (anni 1992-93) del premio Nobel per la letteratura Elias Canetti, là dov’egli annota: “Chi non ha più nulla da dire, parla senza sosta. Non appena ha qualcosa da dire, tace”. Vi ricorda tipi specifici, nell’attualità giornaliera, questo generico personaggio?
Anni fa suscitò forte impressione il film “Il grande silenzio” girato dal tedesco Philip Groning nel monastero alpino della Grande Certosa, in terra francese. Già allora stavamo in epoca di chiacchiere al vento e l’invito non ad abbassare i toni, ma a spegnerli secondo la regola monacale, sembrò esagerato. Si disse: nega la necessità/il dovere d’un affrontarsi verbale di segno vigoroso, funzionale al progresso comunitario. E invece non li negava affatto, proponendo con umiltà di meditare allo scopo d’arricchirsi spiritualmente, e solo dopo di riprendere a dialogare.
Sarebbe il caso di rivedere quel film e magari di diffonderlo sui social, tra un selfie di pane alla nutella e una videosfilata aeroportuale. Non che ci si debba ridurre alla contemplazione mistica, perché disperati a causa del quotidiano cazzeggio; però pensare a ciò che si dice prima di dire ciò che si pensa aiuterebbe a scoprire l’esistenza di qualche frutto sotto le foglie delle molte parole. Consigliabile prender nota del sorprendente risultato con una matita, anche se non degna di Canetti.
Ps
Dopo aver sentito comiziare a lungo d’immigrazione, gl’italiani sentono l’incalzare d’una crisi economica galoppante. Sono ormai nettamente di più i nostri giovani che vanno a cercare lavoro all’estero di quelli che dall’estero lo vengono a cercare qui: ora è chiaro a tutti che anziché investire sull’assistenzialismo, sarebbe stato meglio concentrare le risorse su lavoro e produzione. Invece, nessun taglio fiscale, minacce d’uscita dall’eurozona, cantieri chiusi, niente grandi opere, negozi con le saracinesche giù la domenica. Eccetera. Come ricetta per avviarsi al fallimento non ce n’era di migliore.
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