Si sa. Uno dei temi più divisivi, oggi, nel nostro Paese è quello che riguarda l’immigrazione.
È il tema che ha fatto vincere Salvini e che ha messo le ali alla Lega sovranista. È l’argomento che ha lacerato il centrosinistra.
È la problematica che divide gli italiani, cattolici o laici e che la fa da padrone sia che sia semplice chiacchiera da bar o, discussione che talvolta assume contorni anche meno elevati della chiacchiera appunto da bar, in Parlamento.
Un adagio sociologico recita che se una cosa è percepita come reale, allora sarà reale nelle sue conseguenze.
Così una indagine IPSOS rileva che gli italiani sono convinti che gli immigrati rappresentano il 26% della popolazione residente in Italia e, i musulmani, il 20%.
Le cifre reali ci dicono che gli immigrati sono il 10% (compreso gli irregolari) e i fedeli del profeta solo il 3,5%.
Scrivevo poc’anzi che discutere di immigrazione può farci scoprire e vedere reazioni che mai ti saresti aspettato.
Così come mai ti aspetteresti di sentire giudizi che rasentano l’intolleranza se non il cinismo da chi, per storia personale o familiare, ha vissuto aspetti di immigrazione molto simili a quelli che vediamo oggi. Penso a chi è figlio o nipote di quelle famiglie meridionali che, negli anni sessanta e settanta, in pieno boom economico, si trasferirono in massa dal sud al nord dell’Italia. Come non ricordare i cartelli “non si affitta ai meridionali” o a come erano trattati gli italiani che andavano in Belgio, in Germania o nella nostra vicina Svizzera. Così come penso a chi fu cacciato dall’Istria o dalla Dalmazia e subì persecuzioni e pulizia etnica ad opera dei partigiani titini.
Insomma, quando si parla di immigrazione i sentimenti e le emozioni sembrano prevalere su tutto e su tutti. Si passa dal buonismo all’intolleranza, così come dal pietismo al cinico “buttiamoli a mare” senza la possibilità di poter instaurare una discussione seria, pacata e priva di eccessi ideologici rispetto ad un fenomeno che non solo è parte del nostro presente, ma che subiremo per i prossimi decenni del nostro futuro.
Ho voluto fare questa non breve premessa per introdurmi ad un tema che, figlio del dibattito sull’immigrazione, periodicamente si affaccia alla nostra coscienza e che, in questi giorni, anche per effetto mediatico di un evento che poteva essere una tragedia, ci ha portato a riconsiderare una delle occasioni mancate della scorsa legislatura. Lo ius solis cioè il tema del diritto di cittadinanza agli stranieri.
Una precisazione prima di svolgere qualche ragionamento. In Italia la concessione del diritto di cittadinanza avviene a 18 anni per lo straniero nato nel nostro Paese e che vi ha sempre risieduto non è automatica, ma è possibile su richiesta formulata prima di compiere il diciannovesimo anno: non c’è obbligo alcuno di comunicazione di questo diritto da parte delle autorità competenti.
E ancora, lo ius soli significa, nella sua formulazione più banale che chi nasce in un paese ne è cittadino e acquisisce i diritti e i doveri. Lo ius sanguinis è la cittadinanza solo a chi è figlio o nipote di italiani. Per paradosso, noi possiamo avere cittadini italiani che non parlano neanche una parola di italiano, che non sono mai stati in Italia, che votano per le politiche, (si pensi ai tanti nostri connazionali presenti oggi nelle Americhe) e persone nate e cresciute nel nostro Paese, che hanno frequentato gli studi, che parlano non solo l’italiano, magari anche meglio di qualche nostro concittadino, che parlano il dialetto della loro città, ma che per effetto della nostra legislazione non sono cittadini italiani e quindi non godono dei diritti politici riconosciuti dalla nostra Costituzione.
Il tema si presta ovviamente anche ad altri esempi e semplificazioni. Ad esempio chi vive nel Paese e contribuisce al suo benessere e alla sua evoluzione con il proprio lavoro potrebbe non avere la cittadinanza italiana, quindi essere nell’impossibilità di influire sulle dinamiche politiche con il proprio voto, mentre chi non vi ha mai messo piede, vive da sempre all’estero e magari non parla una parola di italiano e quindi non partecipa al processo di miglioramento dell’Italia, ha la cittadinanza e la possibilità con il voto di influenzare la politica, solo perchè nipote o ha legami di sangue, magari anche alla distanza, con un nonno o una nonna di origine italiana. Si pensi, per esempio al voto degli italiani all’estero.
E ancora, una delle ricorrenti obiezioni che sono fatte per osteggiare il cosiddetto Ius soli, al di là delle banali recriminazioni ideologiche (modello Meloni per intenderci) è che l’Italia è il Paese che annualmente riconosce il diritto di cittadinanza in numero più elevato rispetto agli altri paesi europei, di qui, la conseguenza che non se ne vedono le ragioni visto, appunto, il numero di cittadinanza italiana date dalla Repubblica.
Costruita questa piccola cornice sia pur molto semplificata di alcuni paradossi sul tema immigrazione e diritto di cittadinanza, personalmente, proverei a fare questo tipo di ragionamento.
Io penso che oggi sia il tempo non del “bullismo ministeriale”, ma di una profonda revisione delle nostre politiche di accoglienza. Occorre rivedere la legge Bossi / Fini che non ha mai funzionato e la logica dei flussi migratori, così come la gestione dei richiedenti asilo e di conseguenza anche e soprattutto il sistema dei processi se non delle politiche di integrazione. Lo ius soli si inserisce in questo contesto, anzi, pienamente nel contesto delle politiche di integrazione proprio perchè da una chance a delle persone di godere dei diritti e dei doveri e di sentirsi parte a pieno titolo di una Comunità nazionale che ha accolto i genitori e che, investendo sulla educazione, ha già fatto una scommessa sulla possibile permanenza nel Paese di adozione.
Dunque il tema è forse questo e forse è su questo che lo scontro politico è più feroce. La cultura politica dell’attuale destra non è interessata al tema dell’integrazione perchè non vuole che ci siano cittadina italiani di origine diversa. Non è interessata alle politiche di integrazione perchè vuole che le persone immigrate non si fermino nel nostro Paese, vuole che se ne ritornino nel loro paese di origine e vuole frapporre più ostacoli possibili a che ci sia una permanenza stabile dei loro figli. E soprattutto tema profondamente il “meticciato”. Certo, noi dobbiamo anche imparare dagli errori compiuti da paesi di più vecchia immigrazione come la Francia e Gran Bretagna per rimanere sul continente fortezza l’Europa. Dobbiamo valutare come le seconde generazioni lì si siano sentite abbandonate. Senza radici perché stranieri nel paese che ha accolto i loro padri e madri e senza radici perché quello d’origine è ormai sconosciuto e sentito distante.
Lo ius soli, ripeto nelle sue diverse forme, può essere una risposta che apre le porte alla possibilità di un apporto reciproco alla nostra comunità nazionale. Un Paese che ti accoglie, che ti da opportunità di migliorare la tua vita e che ti chiede in cambio dei doveri. Mi rendo perfettamente conto che non esistono soluzioni perfette e credo anche che questo tema, quello dell’immigrazione debba essere affrontato col massimo del pragmatismo perchè la paura dello sconosciuto è quella che genera naturalmente intolleranza, xenofobia e anche razzismo nelle persone della porta accanto che intolleranti, xenofobe e razziste non lo sono mai state.
La cosa peggiore però è lasciare nel limbo le persone, togliere loro la speranza di poter migliorare la propria vita di partenza e negare a loro un futuro migliore.
Il tema non è, come spesse volte è presentato da questa nuova destra sovranista, togliere dei diritti agli italiani per darli agli stranieri, ma dare a tutti più diritti e più possibilità perchè la scala sociale riprenda ad essere percorsa.
Hanno scritto Dalla Zuanna e Allievi “Le migrazioni sono innanzitutto grandi processi di selezione, alimentati da forti aspirazioni alla mobilità sociale. Forse, proprio questo carattere dei migranti è il primo strumento d’integrazione, insito nella natura economica di gran parte delle migrazioni verso l’Italia. È un risultato che fa ben sperare perchè la società italiana non potrà che giovarsi della grande ansietà di miglioramento portata in dote dai nuovi cittadini che vengono da lontano” ma, attenzione “ come mostrano il caso francese e americano, se è semplice e a costo zero cambiare questo tipo di norme – dallo ius sanguinis allo ius soli o ius scholae – è poco utile o addirittura dannoso concedere la patente di cittadino a chi non ha gli strumenti per esserlo per davvero, perchè si creano aspettative destinate ad essere frustrate”.
Roberto Molinari, Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Varese
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