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Cultura

I PERCORSI DI PIAGET

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/03/2019

piagetJean Piaget (1896-1980), psicologo svizzero, nasce a Neuchâtel nel 1896. È allievo a Ginevra di Éduard Claparède (nel 1912 a cura del maestro sorge l’Istituto di scienze dell’educazione “J. J. Rousseau”, centro dei più avanzati a livello europeo per le ricerche pedagogiche e di psicologia dell’età evolutiva, di cui Piaget diverrà direttore e rappresentante esimio dell’epistemologia genetica, dopo avere compiuto i primi studi di filosofia e logica a Parigi.

 I pensatori ginevrini danno vita al cosiddetto movimento delle scuole nuove sul presupposto della specificità psicologica del bambino rispetto all’adulto e sulla necessità di fondare l’apprendimento sui suoi bisogni e interessi. Alla scuola di Claparède Piaget entra in contatto con gli scritti dei pragmatisti e soprattutto con l’opera di W. James.

 Non è soddisfatto della psicanalisi sul piano metodologico. Razionalista convinto, si oppone al vitalismo bergsoniano ed è il principale anticipatore del cognitivismo. Per Piaget gli interessi psicologici si intrecciano strettamente con lo studio della genesi del modo di pensare scientifico. Lo sviluppo cognitivo consiste nell’applicare alla realtà schemi conoscitivi, diversi a secondo delle età diverse, che insieme mostrano un progresso verso una conoscenza di tipo scientifico. Ne consegue che la realtà è sempre ricostruita partendo dalle strutture percettive e concettuali del soggetto (la ricerca sulle modalità conoscitive verrà a coincidere, sul piano psicologico, con quella epistemologica; essendo la psiche infantile diversa da quella adulta, la modalità della conoscenza si pone su un piano qualitativo e non semplicemente quantitativo. L’apprendimento non è più visto come un processo accumulativo di conoscenze, bensì ogni nuova acquisizione di informazioni comporta una ristrutturazione delle precedenti.

 Nel 1926 Piaget pubblica “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”. Primo ambito di ricerca quello dei nomi. Fino a 5 o 6 anni predomina un accentuato realismo. Il nome è proprietà delle cose. Tra i 6 e gli 8 anni il nome viene ricondotto alla produzione della cosa; tra i 9 e i 10 al realismo subentra il convenzionalismo e i nomi sono suscettibili di cambiamento. Il nome è gradualmente distinto dalla cosa, mentre la diversità sociale influenza soltanto modalità secondarie di realizzazione; lo schema ne è sostanzialmente indipendente.

 Lo sviluppo della conoscenza presenta una genesi regolare attraverso tappe già prefigurate. La coscienza primaria è l’insieme dell’esperienza senza che si operi la distinzione tra ciò che è oggettivo e ciò che dipende dal soggetto. L’indistinzione è all’origine della magia infantile, di cui Piaget individua diverse tipologie. Alla magia è associato l’animismo (la credenza che ogni accadimento dipenda da un intenzione).L’animismo infantile non è un pensiero immaturo o incompleto, ha una sua logica e un propria coerenza,diverse da quelle dell’adulto. Stabilisce tra le cose nessi causali, che danno luogo a un determinismo, non basato sulla necessità fisica, ma su quella morale.

 Dai 7 agli 8 anni l’intenzionalità rimane lo schema costante di interpretazione del reale, ma non viene più riferita alle cose, bensì ai creatori (Dio o gli uomini). All’animismo si sostituisce l’artificialismo e si ha la dipendenza del bambino dai genitori. Ogni cosa è fatta per lui ed è fatta dai genitori.

 Tra i 9 e i 10 anni subentra un artificialismo immanente: il finalismo non è voluto dall’uomo, è collocato nelle cose. La nozione di causa efficiente non è più finalizzata all’uomo, ma oggettiva e sorge un atteggiamento critico verso gli adulti, prima ritenuti infallibili. La conclusione è che i bambini di una stessa età danno in genere risposte simili.

 Intorno alla metà degli anni Trenta Piaget pubblica “La nascita dell’intelligenza nel bambino” (1936), La costruzione reale nel bambino” e “L’origine dell’imitazione nel bambino”(1937). Vuole individuare la dinamica attraverso cui il bambino organizza la realtà e insieme costruisce il proprio io. Se la prospettiva pare molto vicina a quella kantiana, va precisato che le forme non sono a priori, bensì rappresentano il risultato di un processo.

 La costruzione reale del bambino muove dai primi mesi di vita, quando non esistono ancora le nozioni di io e realtà. Il reale non è un dato originario, ma un’acquisizione che presuppone la comparsa di categorie mentali (spazio, tempo, causalità). L’intelligenza senso-motoria è il presupposto dello sviluppo di quella concettuale.

 Il primo stadio della causalità è costituito dalla presa di contatto tra l’attività interna e l’ambiente esterno; il secondo vede la comparsa di abitudini di reazione; negli stadi successivi il bambino acquista coscienza del rapporto tra il gesto e le modificazioni del mondo esterno; attorno al quinto anno di vita il bambino oggettivizza e spazializza la causalità riferendola anche a oggetti esterni senza la sua mediazione, per giungere infine alla causalità rappresentativa, anche in assenza di una sua percezione attuale.

 Dopo gli undici anni di età l’esito è il pensiero formale-astratto (ipotetico-deduttivo). L’io è il centro del processo di organizzazione del mondo. Il bambino costruisce il proprio universo, si percepisce da esso distinto, ma in esso inscrivibile.

Il processo di costituzione del mondo e di parallela costruzione dell’io si realizza attraverso due meccanismi: l’accomodamento o adattamento del soggetto all’ambiente e l’assimilazione (interiorizzazione delle dinamiche io-mondo come elementi costitutivi della psiche).

 La posizione di Piaget è molto vicina al naturalismo empiristico di Dewey. Sottolineano entrambi la centralità del rapporto individuo-ambiente, la valenza formativa dell’esperienza. I processi della conoscenza individuale (psicogenesi) si pongono in parallelo collo sviluppo storico del sapere (sociogenesi).

 Sono temi trattati in una trilogia intitolata “Introduzione all’epistemologia genetica “ e articolata in Il pensiero matematico – Il pensiero fisico e Biologia della conoscenza. Il rapporto tra psicogenesi e sociogenesi costituisce un ambito di ricerca definito epistemologia genetica. I nuovi approcci metodologici producono via via visioni del mondo sempre più articolate.

 L’ottica della scienza parte dall’esistenza di forze immanenti alla natura, individuando però una causalità efficiente, non teleologica, mentre il dinamismo aristotelico partiva dalla distinzione tra uomo e mondo, attribuendo alla realtà una forza agente indipendente dall’uomo, anche se determinata in senso teleologico. Le tappe del definirsi della causalità si snodano dalla magia dei popoli primitivi al pensiero aristotelico sino a Cartesio, Galilei, Newton per finire con Duhem, Poincaré, Bachelard.

 Dalla causalità magico- fenomenistica e a quella animistica e artificialistica si perviene al dinamismo aristotelico e si giunge al meccanismo spazio-temporale. Col graduale allontanamento dai dati immediati delle sensazioni si arriva fino alla causalità rappresentata, ricostruita dalla ragione come nesso tra due eventi, necessario sulla base di leggi. Mentre le cose sono sempre le stesse, il soggetto, la mente determina l’universo, almeno così come è conosciuto.

 Nell’ultima opera rimasta inedita Psicogenesi e storia delle scienze si ha una interpretazione globale dell’epistemologia alla luce della teoria genetica. Il succedersi regolare di modalità e dei passaggi ci porta dall’intra, la definizione dell’oggetto, all’inter, lo stabilire rapporti regolari tra gli eventi, sino al trans, cioè la definizione di una teoria generale che interpreta i fatti nella loro connessione. Piaget parla di epistemologia costruttivistica (ogni stadio presuppone il precedente ed è il risultato di una assimilazione attiva della realtà da parte del soggetto) e dialettica (ogni momento, pur avendo senso in sé, contiene le premesse per il suo superamento).

 Le rivoluzioni scientifiche (v. la fisica del Seicento) non avvennero in seguito a nuove scoperte, bensì come redefinizione dei dati noti e dei problemi all’interno di un nuovo quadro sistemico. Mentre i paradigmi di Kühn hanno soprattutto origine sociale, anche per Piaget sono importanti, ma è da considerare che solo all’interno dello sviluppo strutturale del sistema la componente sociale acquista rilievo, per determinarne le modalità specifiche.

 L’epistemologia ha un carattere storico. Gli schemi vengono definendosi di pari passo colla riorganizzazione del sapere. Piaget definisce la propria concezione anche come strutturalismo genetico, in quanto i vari modelli epistemologici costituiscono degli insiemi completi, che hanno senso soltanto come totalità e costruttivo perché l’esperienza si costituisce non semplicemente ordinandola, ma trasformandola. È contrario all’associazionismo, per cui gli atti mentali complessi sono scomponibili in unità semplici, secondo leggi associative quali la contiguità spaziale o temporale.

 Aspetto fondamentale del pensiero per lui è il suo organizzarsi come struttura. È contrario al comportamentismo (la risposta comportamentale non può essere accettata in termini di risposta automatica a stimoli esterni. Il bambino, per concludere, è al centro del processo educativo nell’ottica dell’attivismo pedagogico.

 Il metodo sperimentale di Piaget si articola in due tecniche specifiche: 1) metodo critico (il bambino risolve i problemi in modo operativo); 2) metodo clinico, basato su colloqui strutturati o su problemi verbali.

 Nel 1955 Piaget fonda a Ginevra il Centro internazionale interdisciplinare di epistemologia genetica.

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