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ANDIRIVIENI

MARCO ZACCHERA - 22/03/2019

legnini

Giovanni Legnini

Ogni volta che qualche inchiesta giudiziaria coinvolge un “big” della politica i supporter dell’inquisito o del condannato parlano più o meno apertamente di accuse o atteggiamenti preconcetti.

Questo perché negli ultimi decenni Magistratura e politica si sono spesso intrecciate con un sovrapporsi di ruoli che non sempre sono apparsi lineari.

Il mese scorso, per esempio, in Abruzzo si è candidato alla presidenza una persona considerata unanimemente di valore, ma con un passato sui cui vale fare qualche riflessione.

Alludo a Giovanni Legnini che aveva un curriculum notevole: avvocato, già nella segreteria regionale dello storico PCI abruzzese dal 1990 al 2002, venne eletto al Senato nel 2001 per il PD dove ci è restato fino al 28 febbraio 2014 quando venne promosso sottosegretario all’economia.

Legnini ricoprì però quell’incarico solo fino al 30 settembre dello stesso anno perché venne poi nominato vicepresidente del CSM (ovvero il Consiglio Superiore della Magistratura, quello che di fatto dirige e controlla il lavoro dei Magistrati italiani). Tenuto conto che il CSM è solo formalmente presieduto dallo stesso Presidente della Repubblica, è ovviamente la figura del “vice” quella che conta e da quella posizione Legnini ha verificato (e indirizzato) il lavoro di procure ed inquirenti, alle prese anche con inchieste “calde”, non ultima quella di Roma che ha coinvolto il padre di Renzi.

A dicembre – pur in carica nel suo ruolo al CSM – nuova “riconversione” alla politica ed eccolo candidato per la sinistra in Abruzzo.

La domanda che pongo ai lettori è se considerino corretto che un politico di conclamata partiticità passi a dirigere i Magistrati italiani e poi tranquillamente se ne ritorni alla politica, andando dentro e fuori dagli incarichi come dalla porta di un bar.

Magistrati che peraltro sono governati da una sorta di mini-parlamento dove le varie “correnti” (eufemismo, perché veri e propri “partiti”) si dividono di fatto incarichi, nomine e carriere.

Visto che la stessa Costituzione sostiene che il potere giudiziario debba essere staccato dal potere legislativo e da quello esecutivo e tenuto conto visto che addirittura l’ex sottosegretario Legnini li ha ricoperti tutti e tre credo che un legislatore non dovrebbe poter passare da una parte all’altra, ma soprattutto mai e poi mai ritornare agli “antichi amori”. Questo indipendentemente dal valore e dalle opinioni politiche della persona: mi sembra non solo il minimo del buonsenso, ma anche della correttezza istituzionale e della trasparenza, aspetti che però evidentemente interessano a pochi o a nessuno.

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