De Gasperi diceva che la buona capacità di un governo si misura dalla sua politica estera. Se oggi dovessimo esaminare la politica estera italiana, resteremmo turbati dalla sua ondivaga posizione: si barcamena tra l’appoggio a Putin e quello a Trump, è discordante nei rapporti con la Cina, sul Venezuela ha preso una posizione così ipocrita che nei fatti è a favore del chavista Maduro, sull’Europa non si comprende se confermi la sostanza di scelte che hanno guidato la nostra politica europea da quando ci facemmo promotori del percorso di integrazione o se voglia tornare ad essere ostaggio di visioni di corto termine.
L’Italia è isolata. Il ministro degli Affari Esteri sembra sia muto e lascia fare ai suoi colleghi di governo, mentre assistiamo, perplessi e accorati, allo spettacolo di un vice-presidente del Consiglio che fa intendere che la questione venezuelana ha un valore del tutto marginale, mentre l’altro suo collega va in Francia per un incontro di solidarietà e collaborazione con l’ala estrema dei “gilets jaunes”.
Solo il Capo dello Stato ha richiamato, in modo inusuale, alle responsabilità che incombono sul nostro Paese a causa di una deriva che, se portata alle sue estreme conseguenze, non solo ci farebbe perdere tutto quello che di buono è stato realizzato, ma ci lascerebbe senza una visione unitaria e in balia di una prioritaria ricerca di un effimero interesse particolare.
Dove andiamo in Europa? Il nostro vice – premier Salvini ha tentato un aggancio con i sovranisti del patto di Visegrad, con l’antieuropeista francese Le Pen e con il presidente nazionalista austriaco Kurz, ma fino ad oggi non è riuscito a convincerli a formare un gruppo sovranista a Strasburgo.
Nel frattempo la collera monta in Ungheria contro il premier Orbàn e in Slovacchia il primo turno delle elezioni politiche dà per vincitrice l’esitante europeista Zuzana Caputova. In Polonia, l’omicidio del sindaco di Danzica sembra aver affievolito la destra sovranista. La Germania di Frau Markel stringe un patto bilaterale con Emmanuel Macron, ma il successivo manifesto fortemente europeista del presidente francese viene bocciato da una parte della stessa CDU, mentre i Verdi non sembrano attirare maggiori consensi dopo la buona vittoria ottenuta nell’Assia, nonostante il “fenomeno” Greta Thunberg, Alternative fur Deutschland, chiaramente nazista, sembra diminuire i consensi. A preoccupare maggiormente gli ambienti pro-europa sarebbe però una sconfitta dell’attuale premier Mark Rutte nei Paesi Bassi.
Secondo alcuni sondaggi e opinionisti, la Brexit, con la sua coda infinita di voti alla Camera dei Comuni, di richieste alla Commissione di dilazioni nell’uscita dall’UE, ha assottigliato il numero degli euroscettici non solo nell’isola, ma in tutto il vecchio continente. Questa vicenda segna, a mio avviso, una svolta fondamentale nella vita e nella storia dell’UE: tutti i paesi devono trovare il coraggio di trarre le conseguenze da questa uscita e porre le premesse perché dall’unione monetaria si passi all’unione politica.
E in Italia? Avere buoni rapporti politici reciproci col proprio vicino è la prima regola della politica estera di un paese amante della pace, ma la diversità degli approcci politici con i nostri cugini d’Oltralpe hanno ultimamente assunto una durezza inusuale. Solo la scaltrezza diplomatica e la autorevolezza di Sergio Mattarella hanno permesso di ristabilire i nostri rapporti, necessari anche per un equilibrio con la Germania. L’Italia avrebbe potuto partecipare al patto di Aquisgrana, se l’attuale maggioranza non avesse lasciato cadere l’accordo bilaterale (detto “del Quirinale”) firmato dal governo Gentiloni a favore di una più intensa collaborazione commerciale, culturale e di politica estera con la Francia.
Non si deve dimenticare, inoltre, che l’Italia segna il confine meridionale dell’Unione e che il Mediterraneo può ritornare ad essere un centro d’Europa per togliere al nord l’egemonia della tecnica, dell’economia, della redditività se l’Italia, assieme agli altri paesi mediterranei, sapesse farsi interprete della rinuncia al controllo esclusivo delle fonti energetiche a favore della condivisione dei flussi di energia solare dall’Africa e dai paesi arabi con conseguente, grande contributo per affrontare le disparità politiche, economiche, sociali che oggi dividono il nord dal sud. Ma per l’Italia, il Mediterraneo rappresenta solo uno spazio geografico che la divide dall’Africa da dove provengono solo migranti economici mezzi delinquenti, portatori di malattie, sporchi e “negher”.
Devo spendere una parola anche sulla politica dell’Italia nei riguardi del Venezuela. Chavez occupò poco alla volta tutto l’apparato pubblico, la giustizia, l’esercito. Maduro, suo successore, ha represso la domanda di democrazia provocando vittime e fuga verso l’estero di migliaia di venezuelani in cerca di minime condizioni di sopravvivenza. Le testimonianze degli esuli, delle organizzazioni umanitarie, dell’episcopato e dei canali diplomatici dicono che in Venezuela vige un regime anti-democratico, illiberale e incapace di garantire la giustizia sociale. Non dimentichiamo che in Venezuela vive una folta comunità di discendenti di nostri connazionali a cui si deve sommare la presenza di circa 150.000 persone con passaporto italiano. Si aggiunga che il nostro paese deve recuperare miliardi di dollari per lavori effettuati durante il regime chavista. Juan Guaidò, attraverso un’interpretazione di un articolo della costituzione venezuelana si è autoproclamato presidente ad interim, contrapponendosi a Maduro. Il Parlamento europeo e la grande maggioranza dei paesi UE hanno riconosciuto Guaidò. L’Italia no. Il nostro governo ha dichiarato l’equidistanza tra Maduro e il giovane presidente “ad interim”, il che significa di fatto appoggiare il regime autoritario di Maduro: l’attuale nostra dirigenza politica, ignava, preferisce la repressione e la violenza contro la democrazia e la libertà. Vuole forse sovvertire ogni equilibrio europeo e che può farcela da solo?
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