Il giudizio al solito più originale è di Vittorio Sgarbi che confessa di provare antipatia per Leonardo da Vinci: “Che significa il sorriso della Gioconda? Nulla, è un sorriso. La Gioconda non è un ritratto ma un concetto, un pensiero, una provocazione” (il critico d’arte ferrarese parla di Leonardo fino al 24 marzo in uno spettacolo al Teatro Manzoni di Milano). Per altri, il vago e indefinibile sorriso di Monna Lisa è lo sguardo indecifrabile di una donna muta o l’autoritratto in cui Leonardo colse la propria parte femminile. Secondo Freud simboleggia invece in chiave psicoanalitica l’attrazione che il genio toscano provava per la madre Caterina.
La versione ufficiale identifica la modella in Lisa Gherardini, nata il 15 giugno 1479 a Firenze e andata sposa nel 1495 a Francesco di Bartolomeo del Giocondo, da cui prese il nome. Nell’anno delle celebrazioni per i 500 anni della morte del genio vinciano torna ad accendersi il dibattito che appassiona da secoli gli studiosi d’arte di tutto il mondo. Si discute sulla reazione degli apostoli alla frase di Gesù “uno di voi mi tradirà” nell’Ultima Cena di S. Maria delle Grazie a Milano. Ci si arrovella sui luoghi che le fanno da sfondo, forse identificabili nel panorama che si gode dal refettorio del monastero di Civate, sopra il lago di Annone.
Soprattutto ritornano d’attualità le vecchie ruggini tra Italia e Francia per i “furti” d’arte messi a segno in Italia da Napoleone e i capolavori mai ritornati a casa. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, teologo e biblista, la definisce “la grande rapina” nel libro Le meraviglie dei Musei Vaticani (Mondadori, 2014): “Solo per rendere l’idea – scrive – i materiali archeologici e storico-artistici asportati furono 506 tra cui il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, la Trasfigurazione di Raffaello ecc. Purtroppo alla fine in Francia rimasero 248 opere, 249 ripresero la loro collocazione a Roma e le altre andarono disperse”.
Per colmare i vuoti Pio VII, prima dell’esilio forzato a Fontainebleau, promosse una campagna di acquisti presso antiquari e mercanti raccogliendo statue, busti, ritratti, cippi e sarcofagi. Gran parte del merito fu dello scultore Antonio Canova che era ispettore dei Musei Vaticani e godeva la stima del papa. Lo stesso Canova, pur non avendo incarichi a Milano, si adoperò per ottenere la restituzione del Codice Atlantico di Leonardo alla Pinacoteca Ambrosiana mentre, aggiunge Ravasi, “il vero incaricato dell’operazione di rientro, un inetto barone austriaco, l’aveva scambiato per un testo cinese (sic!) a causa della strana grafia inversa del genio di Vinci”.
Se quest’anno tocca a Leonardo, l’anno prossimo cadranno i 500 anni della morte di Raffaello e Italia e Francia ragionano da mesi sulla collaborazione reciproca. Sui prestiti di parte italiana per la mostra di ottobre su Leonardo il Louvre chiede ventisei quadri e disegni tra cui opere esposte agli Uffizi di Firenze (Annunciazione), alla Galleria nazionale di Parma (La Scapigliata), all’Accademia di Venezia (l’Uomo di Vitruvio), alla Biblioteca Reale di Torino (Autoritratto), ai Musei Vaticani (il Musico e S. Girolamo). Dal canto suo il Louvre ha ribadito che la Gioconda non si muove da Parigi e ci mette a disposizione “i Raffaello che si possono spostare”.
You must be logged in to post a comment Login