Il livello sempre più basso verso cui sembra esserci incamminata la politica italiana sta trovando una delle sue espressioni più evidenti negli slogan che stanno accompagnando il congresso mondiale delle famiglie che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo. Agli incontri hanno già dato la loro adesioni molti esponenti della Lega, con in prima fila il ministro Matteo Salvini, mentre autorevoli rappresentanti dei 5 Stelle e del Partito democratico non hanno perso l’occasione per dimostrare tutto il loro intollerante sarcasmo con espressioni irriferibili fino a quella definizione, “una destra di sfigati”, con cui Luigi Di Maio ha bollato l’evento.
Il raduno in realtà si presta a tante critiche per il massimalismo e l’intransigenza di tante voci che saranno presenti. E peraltro non è nato da un’iniziativa italiana, ma è organizzato dall’International Organization for the Family (Iof), una lobby statunitense che raduna sigle pro-life, attivisti anti-aborto e rappresentati dei movimenti che si oppongono alle coppie gay, al divorzio e al femminismo esasperato.
Ma una cosa sono le critiche, le prese di distanza, i ragionamenti pacati, un’altra cosa sono l’intolleranza e il disprezzo.
Come si legge sul sito del congresso, l’evento “ha l’obbiettivo di unire e far collaborare leader, organizzazioni e famiglie per affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”.
In verità questa definizione riprende pari pari quanto dice la Costituzione italiana che possiamo ricordare a quanti usano la nostra legge fondamentale solo quando fa loro comodo. Ecco allora che l’articolo 29 afferma che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. L’articolo 30 poi afferma che “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”. E infine l’articolo 31 sottolinea che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
C’è soprattutto in queste parole della Costituzione l’affermazione che la famiglia è una “società naturale”, un’affermazione che viene nei fatti contestata da quella che possiamo chiamare ideologia dominante. Eppure è difficile contestare che solo dall’unione di un uomo e di una donna può esprimersi la generatività (mentre l’ingegneria genetica non è certo naturale) e che un bimbo appena nato ha bisogno per molti anni di avere un luogo in cui essere difeso, curato e abbia possibilità di crescere.
È in questa logica che meriterebbe riscoprire il valore della Costituzione, pur mantenendo la massima comprensione e tolleranza verso altre visioni della propria vita personale. Eppure la famiglia ha sempre tanti nemici in una logica di individualismo su cui da anni si sono incamminati quelli che sono stati chiamati enfaticamente “diritti civili”. Basti pensare a come è stato concepito il reddito di cittadinanza che viene concesso in misura maggiore a due persone che convivono rispetto a due persone regolarmente sposate. Così come le famiglie sono state regolarmente penalizzate, o comunque considerate in misura molto limitata, in tutte le riforme fiscali attuate negli ultimi cinquant’anni.
Al Congresso di Verona ci saranno sicuramente voci intransigenti e massimaliste da cui sarà necessario ed opportuno prendere le distanze, ma ciò non toglie che il tema della famiglia resti di forte attualità. Per la difesa del valore di ogni persona in una società in cui sembra prevalere una pericolosa disgregazione e una forte perdita di punti di riferimento.
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