Il film Premio Oscar 2019 racconta la nascita di un’autentica amicizia tra il buttafuori italiano di origini siciliane Tony e l’afroamericano Donald, musicista di talento, in viaggio nell’America dell’anno 1962. Quello che precede gli assassinii di Luther King e di John Kennedy
Il musicista è alla ricerca di un esperto autista che lo accompagni nel lungo tour musicale, il siciliano cerca un lavoro, uno qualunque, per mantenere il vasto parentado.
Per questo le due vite si incrociano per condividere ben otto settimane.
“Green book” è una guida “turistica” dalla copertina verde, un manuale per la sicurezza rivolto agli automobilisti di colore: “Green Book, for negro motorist for vacation without aggravation”.
La guida salvavita per viaggiare “senza seccature” fu scritta nel 1936 da Victor Hugo Green e pubblicata fino al 1966: conteneva indirizzi e consigli ai “negri” per evitare “seccature” come essere picchiati o ammazzati, o vessati dalla polizia.
Meritava di vincere l’Oscar, il film, nonostante la presenza di alcuni stereotipi sugli italiani: chiassosi, un po’ mafiosi quando non borderline, con una numerosa famiglia allargata a nonni zii e cugini gravanti sulle spalle del capofamiglia.
Le pecche sono di gran lunga compensate dall’atmosfera positiva del film che ci accompagna in un viaggio che, a dispetto delle tante difficoltà, si concluderà nel migliore dei modi.
Anche se i due uomini sono diversi in tutto.
Il pianista è discriminato dalle potenti regole della segregazione razziale.
Il siciliano, per quanto libero di muoversi e di agire, resta pur sempre un inconsapevole emarginato: vive in una zona periferica della grande New York, frequenta loschi individui, si guadagna da vivere con un lavoro poco nobile. Ha una chiassosa famiglia allargata che vive come se si trovasse ancora nel paesello siciliano. In casa si parla una divertente interlingua, si mangiano piatti rigorosamente italiani.
Fuori dalle spesse mura domestiche il capofamiglia, quando riceve l’appellativo non gradito di “mangia spaghetti”, risponde con la forza dei pugni.
Appare da subito scontato che Don il nero e Tony il siciliano alla fine della storia sarebbero diventati amici, dentro a quel contesto sociale e culturale che tiene ai margini l’uno e tollera l’altro.
Scontato altresì che passeranno insieme la sera della vigilia di Natale, intorno alla tavola riccamente imbandita dalle donne di casa dove, come da tradizione meridionale, si consuma ogni qualità di pesce.
Nelle ultime scene del film la neve natalizia scenderà fitta su New York, una città molto più tollerante e progredita del sud del paese, retrogrado e razzista, da cui i due sono appena tornati.
Green book è un bel film perché è la storia di un viaggio, un road film in apparenza simile a tante altre storie americane. Ma si rivela da subito un viaggio speciale in automobile attraverso numerosi stati fino agli stati di un Sud violento e razzista che si manifesta nel suo vergognoso sistema di separazione razziale.
Mentre la situazione diventa insopportabile anche per un uomo rozzo come Tony cresciuto con il pregiudizio dell’inferiorità dei neri, la vicinanza tra i due uomini così diversi cresce insieme alla rabbia per le ingiustizie subite dai neri.
Il pianista, uomo colto e altero, abituato a non reagire, impara a sue spese che è possibile opporsi alle regole della segregazione.
Tony a sua volta dismette gli abiti mentali retaggio della sua subcultura e dell’odio razziale dell’America profonda, e impara a riconoscere la fratellanza.
I due diventeranno amici per la vita.
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