L’impressione era che Conte, l’avvocato del popolo mai eletto da alcun popolo, fosse solo un premier da stallo. Lì fermo, tra Salvini e Di Maio, pur di tenere in equilibrio il fragile asse del contratto di governo. Invece è anche, e anzi soprattutto, un cavillo da corsa. Guardate cosa s’è inventato per tirarla in lungo con la Tav: no ai bandi di realizzazione, sì agli avvisi per iniziarne l’iter. Precisando: una clausola di dissolvenza potrà annullare il progetto, se in Italia prevarrà il no invece del sì. Obiettivo e risultato: permettere a Cinquestelle e Lega di continuare la convivenza a Palazzo Chigi nell’attesa delle elezioni europee, potendo ciascuno dei due partiti conservare il potere presente e scozzonarsi sugli orientamenti futuri. Un escamotage figlio legittimo della nostra leggendaria tradizione a proposito di machiavello.
Che l’indecisione politica sia causa della paralisi economica importa zero. Interessa tirare a campare, sempre meglio (ah, l’imperituro/cinico realismo democristiano) che tirare le cuoia. Magari anche dopo il voto per Strasburgo. Facciamo l’ipotesi uno: M5S e Lega mantengono l’attuale status, con i grillini in largo vantaggio sugli ex padani. Di Maio pretende da Salvini di piegarsi ai suoi voleri sui punti di divergenza nel contratto e fuori del contratto, concedendogli il minimo utile a tenere insieme l’alleanza. Salvini abbozza aspettando scenari più favorevoli. Facciamo l’ipotesi due: il rapporto numerico si rovescia, la Lega esce dalle urne quasi doppiando l’M5S. Salvini esige da Di Maio l’adeguamento ai suoi desiderata, e in cambio gli lascia il nulla. Se infatti Di Maio rifiuta la sottomissione, Salvini rompe e si va a votare per il nuovo Parlamento. I Cinquestelle ne escono a pezzi, il centrodestra vincitore, il neo Pd di Zingaretti più il resto della sinistra diventa il secondo polo del Paese.
L’ipotesi uno è inverosimile, a giudicare dagli esiti delle recenti elezioni regionali e dai sondaggi. L’ipotesi due è probabile, annusata l’aria che ultimamente tira. Perciò, dopo il verdetto del 26 maggio, sarà Salvini a decidere il destino di Di Maio e non viceversa. Le acrobazie lessicali dell’azzeccagarbugli Conte non basteranno a salvare il partito cui egli deve il miracoloso incarico. La Lega eviterà di passare all’incasso solo/ e soltanto in presenza d’una rovinosa deriva del bilancio statale: a quel punto, fallite le previsioni di crescita produttiva e disillusi milioni di creduli italiani, bisognerà evitare il default della Repubblica a suon di pesanti sacrifici. E allora torneranno buoni i tecnici, gli svillaneggiati professori, per ridurre debito e deficit impostando una manovra 2020 altro che lacrime e sangue. Assai peggio. Non a caso viene fin d’ora indicato Mario Draghi, presidente in uscita dalla Bce, come l’uomo giusto da mettere al vertice d’un governo in grado d’adempiere con malinconica professionalità al suo compito, a differenza dei dilettanti allo spericolato sbaraglio di cui vediamo le grandi opere al contrario.
“La lumachella della vanagloria/ch’era strisciata sopra un obbelisco/guardò la bava e disse: già capisco/che lascerò un’impronta nella storia”. Parole del poeta del popolo Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa. Il suo primo successo s’intitolò “Le stelle de Roma”.
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