Eugen Fink (1905-1975), filosofo tedesco, nasce a Costanza, diventa a Friburgo allievo e quindi assistente di Husserl; insegna a Friburgo filosofia e pedagogia dal 1948. Opera una sintesi tra la fenomenologia del maestro e l’ontologia di Heidegger. Si preoccupa dell’insufficienza del metodo fenomenologico di fronte alle questioni cosmologiche, che prendono corpo attorno al concetto di tempo, spazio e movimento.
In quest’ambito il legame tra il senso di una cosa e la cosa stessa si rivela di natura intenzionale (è il soggetto che conferisce senso all’oggetto). Nelle categorie dell’ontologia heideggeriana, nel legame tra uomo e mondo, Fink coglie un’intenzionalità diversa rispetto a quella del soggetto che progetta e a quella del mondo come semplice aggregazione di enti. Sovrastandoli entrambi si definisce come gioco. L’attività intenzionale non risulta allora soggetta a una progettualità finalistica e strumentale.
Nell’ontologia del gioco il finalismo necessitante che presiede all’aggregarsi degli enti intramondani e delle progettualità soggettive è surdeterminato da una relazione arbitraria e non finalistica, che congiunge l’uomo al mondo.
Nel corso della metafisica occidentale si è verificato un oblio fondamentale, quello del concetto autentico di mondo: L’inizio del processo si ha coll’affermazione del il pensiero dell’essere (Parmenide) rispetto al pensiero del mondo. Di esso si è dimenticato il carattere di infinitezza, cosmico, quel tutto del mondo, da cui ogni cosa scaturisce e a cui ritorna. Il movimento dello scaturire e del declinare, vero e proprio gioco cosmico, tutto contiene, sia l’essere umano che gli ammassi stellari (Il gioco come simbolo del mondo. 1960).
Per capirlo occorre una profonda intuizione del mondo. L’uomo esce fuori di sé, proiettandosi in un atto cosmico. Fink riprende il pensiero eracliteo dell’ordinamento del mondo (kosmos), che non deriva dagli dei o dagli uomini, bensì è il prodotto di una potenza che Eraclito (frammento52) definisce come fuoco del mondo. La vita del kosmos ce la dà attraverso l’immagine di un bambino che gioca ai dadi.
L’uomo, rapportato al mondo, per Fink è capace di penetrarlo comprensivamente. “L’apertura al mondo non è toccata in sorte all’uomo, è l’uomo che è toccato in sorte all’apertura del mondo: egli esiste in un atteggiamento estatico verso la vastità dell’universo, che si agita attorno a lui, da cui gli viene la luce della ragione, del linguaggio e della comprensione ontologica”. Mentre Fink parla dell’apertura al mondo, per Heidegger si tratta di apertura dell’essere, così come la differenza cosmologica tra mondo ed ente è ben diversa dalla differenza ontologica del secondo.
Fink muove critica alla concezione metafisica e a quella mitica del gioco. Alla stregua dell’argomentare platonico la prima sottolinea l’affinità strutturale del gioco con l’immagine (il gioco si presenterebbe come l’immagine, apparenza, del mondo); per la seconda il gioco sarebbe ricondotto alla fissazione di regole da parte di certi enti (vedansi i demoni invisibili), che procurano grazie alla superiorità l’apertura al mondo. Così il gioco non viene pensato nella sua originarietà.
La metafisica platonica lo considera una modalità inferiore dell’essere, sottovalutandolo. Il pensiero mitico lo sopravvaluta come epifania dell’ultraterreno. Il gioco va afferrato come simbolo del mondo.
Nell’uomo si riflette il mondo stesso. L’essere umano ne è come un’immagine speculare. Rimane del tutto infondato il mondo, che si presenta senza fine, senza valore, senza progettualità. Rimangono comunque “aperti gli spazi e i tempi per l’essere delle cose, che ha una ragione e un fine, è pieno di significato e di valore”. Il gioco umano ha una dimensione ludica essenzialmente mondana, contrassegnata dalla libertà da tutti i pesi e i condizionamenti della vita materiale.
Rispetto al gioco umano quello cosmico, onnipotente, non può essere personificato e non è qualificabile in termini di parvenza, di irrealtà. Bisogna mettere in luce il concetto originario di mondo come uno-tutto di fronte a una tradizione metafisica che si mostra critica e ostile fondamentalmente nei confronti del gioco.
“Il mondo governa, donando a tutte le singole cose la nascita, portandole all’apparizione, facendole brillare nel chiarore del cielo e rigettandole sulla terra portante, assegnando a tutte le cose individuali aspetto e sagoma, luogo e tempo, prosperità e scomparsa”.
Altre opere da citare: Oasi della gioia. Idee per una ontologia del gioco (1957); Essere, verità, mondo (1958); Metafisica e morte (1969); Essere uomo (1977).
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