Negli ultimi due decenni grandi mutamenti epocali sono subentrati a oltre mezzo secolo di relativa stabilità. Il dibattito sul futuro della vita associata, pubblica e privata, sotto i colpi del fenomeno populista, è finalmente aperto. Chi vuole provare a cambiare il mondo ha bisogno di riflessioni originali per interpretarlo. Senza un rinnovamento delle idee gli anticorpi difensivi e l’efficacia dell’agire pubblico continueranno a indebolirsi. Il ritardo culturale e il deficit di prospettive che non riducano l’ignoto al già noto restano grandi, e inibiscono un ricambio generazionale a favore di quei giovani che vorrebbero agire responsabilmente e fruttuosamente pur sapendo che molte delle loro domande sono al momento prive di risposta.
Una serie di articoli divulgativi a cadenza settimanale sintetizzerà, con alcune sovrapposizioni obbligate, quattro saggi degni di raggiungere un largo pubblico estraneo all’ambito accademico: nell’ordine, Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli; Colin Crouch, Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo, Laterza; Jan-Werner Müller, Cos’è il populismo?, Università Bocconi Editore; Yuval Noah Harari, Ventuno lezioni per il XXI secolo, Bompiani.
I quattro studiosi vedono nel populismo contemporaneo un fenomeno originale, inedito e pericoloso. Le incognite politiche e ambientali che gravano sul mondo possono ledere le libertà faticosamente conquistate negli ultimi tre secoli. Il pessimismo della ragione li guida nei meandri delle forme dominanti del sentire. Tutti invitano a ripensare il mondo in un’epoca in cui la parola deborda, il già pensato è inflazionato e le idee originali scarseggiano. Come nota Harari il potere, oggi nelle mani di esigue minoranze, è un immenso «buco nero». Le minacce alla democrazia sono aggravate dal poco tempo a disposizione per difendere la vita biologica.
Secondo Mounk sul nostro futuro incombono un liberalismo antidemocratico e una democrazia illiberale. Liberale è «qualcuno che rispetta i valori fondamentali come la libertà di parola, la separazione dei poteri e la tutela dei diritti individuali». Liberali sono la divisione e il bilanciamento dei poteri. Tali valori sono minacciati da due prepotenze complementari e compossibili: la prepotenza della società, o dittatura della maggioranza; e la prepotenza dello stato, o autorità che impone la forza a danno dei diritti. A sua volta «una democrazia è un insieme di istituzioni elettive vincolanti che traducono efficacemente le opinioni del popolo in politiche pubbliche. Le istituzioni liberali proteggono efficacemente lo stato di diritto e garantiscono i diritti individuali come la libertà di culto, di stampa e di associazione a tutti i cittadini, comprese le minoranze etniche e religiose; una democrazia liberale è semplicemente un sistema politico che è sia liberale sia democratico: un sistema cioè che protegge i diritti individuali da un lato, e traduce le opinioni del popolo in politiche pubbliche, dall’altro». Come per il liberalismo, anche la democrazia non può ridursi al principio di maggioranza. La democrazia non è esclusivamente la facoltà di avere elezioni libere e competitive. Il parametro di valutazione è, all’opposto, il principio di minoranza: quanto più sono tutelate le minoranze tanto migliori sono i sistemi liberali e democratici.
La coesione e il bilanciamento tra liberalismo e democrazia non sono immuni da involuzioni. Per i suoi tratti comuni, per le sue origini di lungo termine – ben prima della recessione del 2008 –, e il lento amalgama tra le sue eterogenee declinazioni, il populismo non è una semplice sommatoria di varianti locali. Globale è anche la minaccia. Il populismo accentua la scissione reciproca tra liberalismo e democrazia, comparsi sin dagli anni ’80 e in piena accelerazione nel nuovo millennio. Ad eccezione degli stati apertamente autoritari, ingessati con la forza, una corrente di destabilizzazione e di delegittimazione politica attraversa il mondo. Di fatto il malfunzionamento di un polo danneggia l’altro e il loro equilibrio. Anziché convergere e sorreggersi a vicenda, oggi i due poli tendono a separarsi. «La dipendenza reciproca tra liberalismo e democrazia mostra come il cattivo funzionamento di un aspetto della nostra politica possa estendersi molto in fretta anche a un altro. Così, la democrazia senza i diritti corre sempre il rischio di degenerare nella tirannia della maggioranza». A loro volta i diritti liberali senza controlli democratici sono esposti allo strapotere dei padroni del web, dei tecnocrati, dei decisori economici globali, della finanza e delle normazioni degli apparati statali.
Per circa un secolo la democrazia ha goduto di un’egemonia senza eguali. Il suo mito fondante «si è rivelato una delle forze ideologiche più potenti della storia dell’umanità. Sotto la sua sorveglianza, e nel contesto della miracolosa transustanziazione tra controllo dell’élite e appello al popolo che quello stesso mito ha offerto, la democrazia ha conquistato mezzo mondo». La sintesi tra democrazia e liberalismo si è affermata appieno solo nel secondo dopoguerra e solo in una parte di mondo. L’affermazione della democrazia nei paesi poveri fu più problematica. Le «democrazie benestanti» si sono consolidate sull’onda dell’espansione economica. I due nemici mortali della democrazia liberale, i totalitarismi nazionalisti e comunisti, tra loro profondamente affini, sono crollati in circa un quarantennio. Negli entusiasmi seguiti al 1989 la democrazia parve un possesso definitivo, una conquista immutabile ed esportabile, destinata a un’universale espansione e bisognosa solo di piccoli consolidamenti e aggiustamenti. I difetti andavano accolti perché meno imperfetti di altri sistemi. Venti anni dopo il crollo liberatorio dell’impero sovietico, l’idea che democrazia e liberalismo formino un amalgama stabile, resiliente. coeso e duraturo si è rivelata un’illusione. La storia non è affatto finita. La democrazia liberale è di nuovo in pericolo. La minaccia viene da nemici del tutto diversi dai totalitarismi, e siamo impreparati ad affrontarla. I rischi sono un nuovo caos, il ritorno della crudeltà, la fine di un sistema politico che ha garantito pace, prosperità ed equità, la catastrofe ambientale. Ci chiediamo: la crisi prelude al collasso o è una crisi esistenziale in un nuovo scenario apparentemente ingovernabile e caotico solo perché non ne abbiamo preso le misure?
«Ora che le opinioni della gente sono sempre più illiberali e le preferenze delle élite stanno diventando antidemocratiche, il liberalismo e la democrazia cominciano a scontrarsi. La democrazia liberale, la combinazione unica di diritti individuali e governo popolare che per molto tempo ha caratterizzato la maggior parte degli esecutivi in Nord America e in Europa occidentale, si sta sgretolando. In suo luogo assistiamo all’avvento della democrazia illiberale, o democrazia senza diritti, e del liberalismo antidemocratico, o diritti senza democrazia». Altri, riferendosi in particolare al caso italiano, hanno parlato di “democrazia recitativa” [Emilio Gentile] e di “democrazia sfigurata” [Nadia Urbinati]. Non c’è un Rubicone che segni nettamente il trapasso a sistemi illiberali e/o antidemocratici; vi è semmai un lento scivolamento.
Le condizioni favorevoli che hanno stabilizzato la democrazia liberale si sono dissolte. «Il liberalismo e la democrazia sono rimasti incollati tra loro grazie a un insieme contingente di precondizioni tecnologiche, economiche e culturali. Oggi questo strato di colla si sta rapidamente assottigliando». «Il primo grande assunto del dopoguerra – l’idea che i paesi ricchi in cui il governo aveva cambiato mani più volte mediante elezioni libere e giuste sarebbero rimasti democratici per sempre – si è retto fin dall’inizio su fondamenta fragili». La democrazia ha temperato la ricchezza dei gruppi più forti, il liberalismo ha protetto i diritti individuali e civili dalla dittatura della maggioranza. Senza questo mutuo bilanciamento i due elementi possono non coesistere.
Abbiamo creduto che la democrazia liberale si fosse diffusa e legittimata grazie ai suoi pregi intrinseci. Forse l’attaccamento popolare alla democrazia ha avuto matrici meno profonde e meno durevoli quali il prolungarsi di condizioni di non belligeranza e di crescita economica. Ci siamo illusi in una crescita illimitata, che avrebbe spostato l’attenzione delle popolazioni verso i beni immateriali e la riduzione delle povertà. Invece, «man mano che hanno perso la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini, le democrazie liberali sono entrate in una profonda “crisi di rendimento”. I movimenti populisti in ascesa in tutto il mondo stanno sfruttando questa crisi per demolire elementi chiave del sistema». «Abbiamo avuto un’erosione strisciante della democrazia via via che gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche sono stati sottratti uno dopo l’altro alla discussione popolare, la capacità del popolo di influenzare la politica si è drasticamente ridotta». La demagogia populista fa breccia grazie a questa carenza performativa. Paesi popolosi, potenti o influenti come India, Stati Uniti, Russia, Brasile, Messico, Filippine, Turchia, Venezuela e Italia sono nelle mani di governi populisti.
Il prossimo articolo esaminerà tre grandi mutamenti intervenuti negli ultimi decenni. «Una volta, le democrazie liberali potevano garantire ai cittadini un aumento molto rapido degli standard di vita. Oggi non è più così. Una volta, le élite politiche controllavano i mezzi di comunicazione più importanti, ed erano in grado di escludere le opinioni radicali dalla vita pubblica. Oggi gli outsider della politica possono diffondere bugie e odio a profusione. Una volta, l’omogeneità dei cittadini era un elemento chiave per il funzionamento delle democrazie liberali. Oggi i cittadini devono imparare a vivere in una democrazia molto più equa ed eterogenea».
[fine prima puntata]
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