Saliamo la scalinata di Santa Maria Assunta in Gallarate, per vedere di persona il nuovo, discusso altare di Claudio Parmiggiani, con sentimenti diversi ed anche opposti: entusiasta Onirio Desti, scettico Sebastiano Conformi, curioso, ma un po’ perplesso il sottoscritto, accompagnati da un amico gallaratese che confessa: “A me piace, a mia moglie per niente”.
Entrati dal fondo, ci avviciniamo lentamente. Il candore dell’altare ha creato subito un fuoco d’attenzione, ma io non l’ho sentito troppo invasivo, benché contrastante con i toni caldi, ma luminosi della navata. Non riesco ad immaginare come sarà con la luce artificiale che accompagna la maggior parte delle celebrazioni, però non pesa come una forzatura. Arrivati vicino, facciamo un breve mo mento di raccoglimento: vogliamo ricordarci di non essere entrati in un museo; è un specie di prova-preghiera, la verifica che l’oggetto artistico non distoglie dalla sacralità del luogo, nonostante la nostra distrazione. Poi osserviamo attentamente i particolari dell’altare, con l’ambone in pietra scura iridescente, che isola l’altare nella sua brillantezza e contribuisce ad evidenziarlo ed insieme a contenerne l’irruenza. Infine osserviamo da vicino le famose teste, che in realtà non mi appaiono né mozzate, né scheletriche o lugubri, come potevano. apparire dalle fotografie. Ma rimandiamo commenti e discussione ad secondo momento, davanti ad una buona tazza di tè.
(C) Orbene, siete rimasti con la vostra idea precedente, o l’avete mutata o perlomeno affinata?
(S) Quanto a me, lo immagini già, resto con la mia idea: opera pregevole, ma da esporre in un museo, in un camposanto, come monumento dei caduti, all’Altare della Patria, ma non adatta ad un altare della Messa. E non devo spiegarvi il perché …
(O) Io invece ho un po’ rafforzato la mia convinzione, proprio perché l’opera in sé è bella, più bella di quello che non apparisse in fotografia, dove si rimane fermi al primo colpo d’occhio; al contrario guardandola attentamente e a lungo, accogliendo la spiegazione che ne ha dato l’autore, si capisce che non c’è una nemmeno involontaria ricerca del lugubre, ma una trasfigurazione simbolica della multiforme umanità, come rappresentata in centinaia di statue famose, che si affaccia dall’altare, non schiacciata, non sottomessa, non sofferente. Hanno le loro sembianze nel volto e non nel corpo, sono una domanda ed invitano gli astanti alla preghiera.
(S) Io continuo a vedere teste mozzate, accatastate, alla rinfusa. Questa voluta mancanza di ordine è ciò che mi disturba, non le teste in quanto tali, che avrebbero potuto in altro modo mostrare una carica simbolica positiva. Così, invece, accostandomi, provo un brivido di repulsione; come se leggessi nella scultura una pietra gettata sopra le contraddizioni del mondo, un peso in più da sopportare per la povera umanità. Non sarà stata l’intenzione dell’artista,tanto meno quella dei committenti, ma il risultato è questo, oggettivamente.
Lasciatemi abusare un poco appena delle mie modeste cognizioni teologiche: il mondo è stato salvato da Cristo attraverso una presenza, reale, umana, effettiva, incontrabile, in una parola; si è mostrato. È per questo che, a differenza di ebrei e musulmani possiamo mostrarne un’immagine, senza timore di cadere nell’idolatria. Più ancora, sull’altare il sacerdote rinnova la Sua presenza nella Messa, perciò l’altare è il luogo della chiesa che, insieme al tabernacolo dove viene conservata la Divina Presenza, richiede un particolare rispetto, perché particolarmente sacro. C’è come una sproporzione tra l’umanità (la interpreto così) ammucchiata sotto l’altare e la nudità del piano ecclesiale che la sovrasta, senza neppure un segno cristiano: il crocifisso è ben lontano, pende dal soffitto, appena visibile il corpo all’interno di una croce arabescata. Badate bene che sono convinto che tutta l’arte abbia qualcosa di sacro, quando non voglia essere deliberatamente blasfema, tuttavia non tutte le opere sono adatte ad uno specifico uso liturgico, e questa non lo è.
(C) Penso che abbiate espresso chiaramente il vostro pensiero, con argomenti pregevoli ambedue, così che avete ancora aumentato il mio imbarazzo, per la necessità di arrivare a una conclusione. Nei giorni scorsi ho anche avuto occasione di vedere il catalogo di una mostra di arte sacra di tutt’altro orientamento: “L’arte che protegge” curata da Camillo Langone e chiusa da poche settimane ad Ascoli. Unificata dall’esclusivo codice figurativo, la mostra presentava tuttavia pittori lontanissimi per età, stile, materie usate e carica provocatoria. Pochissime opere derivavano da committenza religiosa, anzi per lo più erano nate da ispirazione personale, semmai confrontata con i maestri del passato.
Tutti hanno cercato, e i più lo hanno anche ottenuto con ottimi risultati, di coniugare un messaggio religioso immediatamente riconoscibile con una espressione materiale altrettanto immediatamente coinvolgente. Sottolineo questa mia radicata convinzione: tutta l’arte, quindi anche quella sacra o liturgica, deve avere la caratteristica dell’immediatezza, se il bello deve essere spiegato vuol dire che non è arte. Sarà una bella filosofia, un bel concetto di giustizia, anche una bella teologia, ma non arte pienamente riuscita.
Questo mi pare un limite dell’altare di Parmiggiani: deve essere spiegato. In secondo luogo, come feci notare settimana scorsa, la sua inusualità ha diviso il popolo cristiano, cosa non trascurabile, trattandosi non di un ornamento, ma del luogo centrale della liturgia. A questo proposito mi ritorna un ricordo di Mons. Manfredini, che attuò la riforma liturgica a Varese semplicemente collocando un tavolo, un bel tavolo, come mensa dell’altare. A chi gli aveva osservato con poco garbo: “sembra un tavolo da osteria”, rispose battendo il pugno sul tavolo; “così deve essere, perché era un tavolo d’osteria”, facendo prevalere il significato liturgico sul lato puramente estetico, il dato oggettivo e fondante sull’argomento del gusto, rispetto al quale una differenza di opinioni è pienamente legittima.
(O) Accetto la tua osservazione sulla necessità dell’unità negli aspetti essenziali del culto; anch’io sono rimasto molto addolorato nel leggere scambi di offese a questo proposito, temo sia una conseguenza del venir meno dell’educazione in generale e di quella religiosa in particolare. Lascia concludere me, questa volta, con uno spunto paradossale: anche in questo caso è meglio essere favorevoli o contrari piuttosto che indifferenti; voglio sperare che queste discussioni invitino non solo i fedeli di Gallarate ma tutti noi a guardare con occhi più attenti le nostre chiese, a valutarne i pregi, a coglierne i messaggi che finora avevamo trascurato, magari a rilevarne qualche difetto, piuttosto che soccombere alla noia e all’indifferenza, come troppo spesso accade. Può darsi che gli artisti qualche volta sbaglino, ma, nel solco di Paolo VI, dobbiamo continuare ad ascoltarli.
(C) Costante (S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti
You must be logged in to post a comment Login