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Attualità

MARCIA IN PIU’

FLAVIO VANETTI - 01/03/2019

verdelliNella mia vita professionale ho incrociato Carlo Verdelli, nuovo direttore di Repubblica, nel periodo in cui è stato vicedirettore al Corriere della Sera. Era lui, tra l’altro, che in quei giorni aveva la delega a seguire il settore sport. Non posso dire di conoscerlo a fondo – c’è sempre una sostanziale distanza tra i piani alti di un giornale e la “truppa” -, ma qualcosa di lui vi posso raccontare. Prima di tutto ho il bel ricordo di una lettera personale ricevuta da lui. A Milano arrivò Leni Riefensthal, la grande regista, cineasta e fotografa tedesca, e io ebbi modo di incontrarla. Aveva già cento anni, ne aveva davanti ancora uno: credo di essere stato uno degli ultimi giornalisti, se non l’ultimo, a intervistarla. Fu un servizio emotivamente indimenticabile: avevo parlato con una persona che usciva dalla storia, con la regista di Olympia e con la donna che, a torto o a ragione, era stata giudicata un’ideologa del nazismo. Ancora oggi ritengo quell’intervista come una delle cose migliori che ho fatto nel mio lavoro. Verdelli, evidentemente, concordava: la sua era una lettera di elogio, che conservo tra le memorabilia della carriera.

Carlo Verdelli dava sempre la sensazione di essere vigile sul tuo lavoro e questo non è poco se si considera che in un giornale quale il Corriere della Sera la sezione sport non è propriamente (a torto) quella più seguita. Carlo poteva chiamarti a pagine quasi chiuse per invitarti – a costo anche di fare tardi – a dare risalto ai 45 punti che Petar Naumoski aveva segnato in coppa per la Milano del basket, oppure a invitarti a ragionare sul risvolto di questa o quella notizia. Oppure ancora poteva choccarti con una richiesta estrema. Quando nel marzo 1998 Alberto Tomba disputò la sua ultima gara (vincendola), tutti noi presenti a Crans Montana assistemmo ai riti d’addio: il bacio alla neve, l’esultanza, lo champagne e poi, alla fine, un lungo abbraccio con la sorella Alessia che lo baciò sulla bocca.

La mattina dopo i colleghi che andarono in riunione sentirono la richiesta di Verdelli: “Sentiamo la sorella e chiediamole se quello è stato forse un bacio incestuoso”. Gelo lungo la schiena dei miei capi e pure lungo la mia, quando mi riferirono il desiderata della direzione. Ero riottoso e dubbioso: ma come si fa a domandare una cosa del genere? Aggirai il problema con una certa astuzia. Partii largo e chiesi poi ad Alessia: “Avresti fatto la corte ad Alberto se non fosse tuo fratello?”. Lei rispose di sì: “Da donna, e non da sorella, dico che Alberto è un ragazzo interessante”. Il boccone l’avevo nelle fauci…

Di Carlo Verdelli mi ha sempre colpito una caratteristica, nei pochi momenti in cui ho avuto a che fare direttamente con lui (ma ho avuto conferma da chi l’ha frequentato più a lungo): mentre ti ascolta, inizia già a elaborare qualcosa su quello che gli stai comunicando. Spesso è un’idea “trasversale”, qualcosa che permette di andare a scavare dentro e oltre una notizia. Da noi lanciò anche il sito web del Corriere – credo che sull’online creda ciecamente, pur non essendo affatto allineato con quelli che ritengono il giornale di carta già morto o destinato a spegnersi in breve -, poi ha avuto l’occasione di prendere in mano la Gazzetta dello Sport (altro quotidiano che ho nel cuore, avendoci lavorato per sette bellissimi anni) e di regalarle l’unica vera “primavera” del periodo post-Cannavò. Ci sono dei direttori che hanno una marcia in più. Gino Palumbo, per dire, rilanciò la rosea su cifre di vendita pazzesche; Mario Sconcerti, quando arrivò in Gazza da vice, introdusse Dossier (un inserto settimanale) perché aveva capito che era necessario aggiungere l’approfondimento alla cronaca e ai commenti tradizionali.

Verdelli nel corso del suo mandato introdusse la sezione “Altri mondi”, in coda al giornale: era, ed è, un’area nella quale ci sono, scelte e sintetizzate, le notizie non di sport. Due quotidiani in uno, insomma; lo sport come base, il resto come contorno ma con una sua dignità. Perché questo? Perché non tutti oggi hanno tempo, voglia e soldi per leggere più giornali. Come Palumbo, tornando dalle partite allo stadio in tram o in bus per sentire l’umore della gente, aveva afferrato che era tempo di dare al lettore i parlati dello spogliatoio e i retroscena, così Verdelli ha ritenuto che fosse il momento di elaborare un giornale “combo” in grado di dare un’informazione sufficientemente completa. Tutti noi del Corrierone tifavamo perché, prima o poi, tornasse da numero uno. Invece Carlo Verdelli, forse a causa anche di ostacoli stupidi da parte del mondo della politica, al Corriere non è più approdato. È invece transitato per la Rai e adesso è finito dai nostri principali concorrenti. Dire che siamo preoccupati è poco.

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