Nel dicembre del 1941 Marco Giani, classe 1920, luinese di Cassano Valcuvia laureato in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, sottotenente degli alpini nel battaglione “Susa”, parte per il Montenegro e si trova di colpo immerso in una guerra feroce, selvaggia, senza esclusione di colpi da una parte (il fascismo e i suoi alleati) e dall’altra (la popolazione civile del Montenegro e le formazioni partigiane di Tito). È un confronto aspro, durissimo dentro una realtà che neppure immaginava, lui ragazzo di grande educazione, colto (brillantissimi i suoi studi al Cairoli di Varese e all’Università di largo Gemelli), legatissimo alla famiglia prematuramente spezzata dalla scomparsa di entrambi i genitori, cresciuto frequentando i circoli universitari, i Guf, organizzati dal regime per convincere le nuove generazioni sulla missione “civilizzatrice” del fascismo nel mondo.
Proprio nell’impatto crudele con un’avventura bellica, ancor oggi poco conosciuta e raccontata, matura il cambiamento profondo del giovane cassanese che, riparato in Svizzera dopo l’8 settembre del 1943 e internato nel campo di Murren nell’Oberland bernese, rientra in Italia un anno dopo per arruolarsi nelle formazioni combattenti della repubblica partigiana dell’Ossola, un primo straordinario esperimento di democrazia popolare spazzato via dalle soverchianti forze tedesche e fasciste. Marco Giani, solo tre giorni dopo il suo approdo nella Resistenza, troverà la morte in un agguato nemico a Prato Michelaccio – Monte Orfano durante un’operazione di controllo della zona. Era il 13 settembre del ’44.
Una storia pressoché sconosciuta la sua, ma emblematica del periodo, portata alla ribalta da Franco Giannantoni, giornalista e storico della Resistenza di grande affidabilità, grazie a un lavoro di anni, di accutata ricerca documentale, di raccolta di testimonianze dirette – tra le quali, preziosissima quelle del fratello Carlo, ingegnere assai noto a Varese – e di ricognizioni nei luoghi del conflitto. La vicenda personale del giovane sottotenente di Cassano Valcuvia si intreccia dunque con le sorti sempre più crudeli della guerra che in Montenegro, annota l’autore, “semina morti, fucilati, feriti, deportati su entrambi i fronti…micidiali bombardamenti a tappeto avevano raso al suolo villaggi e piccole cittadine. Per rappresaglia, contro le frequenti fucilazioni di presunti ribelli, i partigiani si erano accaniti contro gli ufficiali italiani, spogliandoli, mutilandoli, sovente castrandoli, seviziandoli e infine passandoli per le armi”. Marco Giani, ferito in battaglia e decorato al Valor Militare, uscirà dal conflitto balcanico provato, ma sempre più consapevole che le scelte del fascismo stavano spingendo l’Italia nel baratro. In una lettera dell’agosto 1943 scrive infatti di vedere “preoccupanti segnali all’orizzonte”, “La reazione tedesca al “tradimento armistiziale” – annota Giannantoni – era stata la prova, con l’occupazione militare di città, fabbriche, porti, aeroporti, caserme, scuole, dello sfacelo del Paese”.
“Marco Giani” Alpino in Montenegro, partigiano in Val d’Ossola, è l’ultimo prezioso lavoro delle Edizioni Amici della Resistenza, piccola ma battagliera editrice promossa dalle stesso autore e da Carlo Scardeoni. Qualche mese fa un’altra fondamentale ricerca “La Shoah, delitto italiano”, ha svelato, all’interno del più vasto contesto nazionale, anche il volto varesino delle persecuzioni agli ebrei fra il 1938 e il il ’45.
Del percorso umano, militare e politico di Marco Giani l’autore parlerà al Centro documentale di Cassano Valcuvia il 9 marzo alle ore 17 e alla libreria Ubik di Varese il 16 marzo alle 18 con il professore di storia Robertino Ghiringhelli.
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