All’indomani del positivo e simpatico incontro al Salone Estense con il sindaco di Milano Beppe Sala, il sindaco di Varese Davide Galimberti ha scritto sulla Prealpina “…di aver lavorato per ridurre ancora di più le distanze tra le due città. Grazie ai nuovi collegamenti ferroviari e a nuovi progetti per giocare la partita della promozione delle nostre città in una squadra unita anche da Malpensa”. Quello dei trasporti, nelle diverse modalità di fruizione, resta il nodo centrale delle relazioni tra la Milano metropolitana e la grande area urbana che la circonda soprattutto in direzione Nord – Nordest. Una ventina di anni fa l’architetto e urbanista svizzero Titta Carloni, maestro e mentore di Mario Botta, con un’accurata serie di foto aree e di rilievi topografici aveva evidenziato come in realtà Milano fosse ormai il terminale da Nord a Sud di una conurbazione, a macchia di leopardo e quasi senza soluzione di continuità, (la “città diffusa”), che inizia ad Airolo poco fuori il tunnel dell’autostrada elvetica N2. Un’area che ospita circa 5 milioni di abitanti all’interno della quale sono presenti città – Varese una di queste – con una loro precisa identità, e da sempre in dialogo, tra alti e bassi, con il capoluogo lombardo.
Con una duplice preoccupazione: da una lato quella di preservare in qualche misura la propria fisionomia storica, paesaggistica ed economica, dall’altro quella di scongiurare isolamenti e dunque di favorire gli scambi economici e culturali con Milano evitando tuttavia “colonizzazioni” di vario tipo sempre dietro l’angolo. Un processo ininterrotto di crescita delle relazioni che a partire dalla seconda metà dell’800 ha avuto nelle due linee ferroviarie (Stato e Nord) un volano di promozione decisivo, al quale si aggiungerà nel 1924 l’Autostrada dei laghi, la prima in assoluto costruita in Italia. Nonostante il grande sviluppo del dopoguerra, la conseguente crescita esponenziale del pendolarismo lavorativo e studentesco e la presenza di un aeroporto come Malpensa, l’adeguamento delle infrastrutture di trasporto è stato tardivo, lento e ancor oggi insufficiente.
Al netto della nuova ferrovia, impropriamente nota come Arcisate- Stabio, che collega Como – Lugano – Varese fra loro e al terminale della Brughiera, la mobilità ferroviaria nella sua concezione di fondo resta in buona parte ottocentesca. Se per un verso le due linee ferrate rispondono capillarmente alla domanda di trasporto locale generata da un territorio densamente abitato e articolato in comuni grandi, piccoli e minuscoli, per un altro verso non rispondono affatto a una richiesta – che pure esiste ed è rilevante – di un trasporto metropolitano veloce capace di collegare Varese a Milano dimezzando gli attuali tempi di viaggio di regola superiori all’ora per una cinquantina di chilometri in tutto.
Crediamo che il principale ostacolo tecnico a un progetto di questo tipo stia nei due colli di bottiglia che affliggono entrambe le strade ferrate: per le Fs il tratto tra Gallarate e Rho Pero gravato da un traffico locale e internazionale in costante esubero rispetto alle capacità datate della tratta; per le Nord il tappo di Malnate dove la linea torna alla sua dimensione originaria, cioè a binario unico fino a Varese e a Laveno. Due strozzature eliminabili con differenti livelli di difficoltà e di investimenti. La Rho Pero –Gallarate corre infatti in una trincea urbana di fabbriche e abitazioni dove collocare un terzo binario è impresa assai delicata, ardua e costosa. Tuttavia, dopo la bocciatura di un primo progetto, qualcosa si sta muovendo. Solo dopo aver sciolto questo nodo strutturale si potrebbe pensare, nell’arco della giornata, ad alcune coppie di treni veloci con il tanto auspicato approdo in Stazione Centrale, una meta da cui gli utenti varesini sono storicamente esclusi.
Nulla si prospetta invece sul fronte delle Nord, nemmeno se ne parla di un eventuale raddoppio della tratta da Malnate a Varese e perché no, in un secondo tempo, fino a Laveno. Certo bisogna raddoppiare i due ponti sulla Valle dell’Olona, ma non sembra un’impresa ciclopica né finanziariamente proibitiva. Sarebbe opportuno cominciare a parlarne alla luce dei cambiamenti (speriamo imminenti) dell’intera area delle stazioni promossi dalla Giunta Galimberti. Superare i due ostacoli di cui si è detto potrebbe essere un passo decisivo per una più equilibrata integrazione tra la Milano Metropolitana e l’area prealpina. Con qualche possibile vantaggio indotto per Varese che, con tempi di viaggio dimezzati o quasi, potrebbe diventare un’alternativa residenziale competitiva per molti lavoratori disposti al pendolarismo, ma non alle attuali forche caudine imposte da carenza di mezzi e cronica disorganizzazione. Non solo, i poli universitari di Como e Varese ( L’Università dell’Insubria) potrebbero a loro volta diventare un’alternativa agli atenei meneghini per gli stessi studenti milanesi rovesciando, almeno in parte, un consolidato trend storico e avviando un positivo processo di osmosi culturale.
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