La prima rivoluzione industriale interessò prevalentemente il settore tessile e metallurgico con l’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. La seconda si fa partire, convenzionalmente, dal 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. La terza incominciò intorno al 1970 con l’utilizzo massiccio dell’elettronica, della tecnologia dell’informazione, della produzione automatizzata.
La rivoluzione industriale comportò una profonda e irreversibile trasformazione del sistema produttivo coinvolgendo quello economico nel suo insieme e l’intero sistema sociale. L’apparizione della fabbrica e della macchina modificò i rapporti fra gli attori produttivi. Nacque la classe operaia che ricevette, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione in fabbrica, un salario. Si avviò anche il capitalismo industriale con imprenditori proprietari delle fabbriche e dei mezzi di produzione che mirarono a incrementare il profitto della loro attività.
Ora siamo alla fine di una delle grandi ere economiche della umanità ma al contempo vediamo l’inizio di qualcos’altro. Jeremy Rifkin, economista visionario, spiega che entro 25 anni non useremo più energia derivata dal petrolio e dal nucleare: proverrà integralmente da fonti rinnovabili. Porta l’esempio della Germania, dove la loro percentuale oggi è pari al 30 per cento e nel 2020 arriverà al 35 per cento. L’energia solare costerà sempre meno, ognuno sarà in grado di produrla da solo e vendere quella che non gli serve.
È una trasformazione radicale, da consumatori a prosumer, produttori e consumatori allo stesso tempo. Nasceranno mestieri completamente diversi da quelli attuali. Immaginate un giorno in cui dovremo spiegare ai nostri nipoti come mai c’è stato un periodo in cui qualcuno guidava un camion per otto ore al giorno e loro si chiederanno il perché. Camion e macchine si guideranno da sole. Inoltre non avrà più importanza il possesso, quello che conterà sarà poter accedere ai servizi.
Oggi il modo di pensare dei più giovani, fra i 18 e 35 anni, è molto diverso. Per noi la libertà è qualcosa che si basa sul possesso, per loro l’autonomia è la morte. Vogliono la connettività, non l’esclusività ma l’inclusione, pensano alle persone che contattano su Facebook, Twitter, Instagram e gli altri social come fossero parte di una sola famiglia. Così quello che si apre è un divario tra un mondo che già cambia e le istituzioni che non sanno raccontarlo.
Sono troppo pochi i politici capaci d’immaginare il futuro e comunicarlo, ma una volta raccontata la storia ecco che tutto comincia a cambiare. C’è posto anche per una considerazione del Papa: “La Cristianità è stata divisa per millenni fra una concezione della natura puramente strumentale e una improntata alla condivisione”. Sta percorrendo la seconda strada e lo dimostra già la scelta di chiamarsi come san Francesco. Ci convince la sua analisi sui cambiamenti climatici e la sua visione profetica, ma l’appello a rispettare la Creazione e sprecare meno va affiancato da un piano economico e legislativo.
La rivoluzione industriale 4.0, termine utilizzato per la prima volta alla Fiera di Hannover nel 2011, è quella dei sistemi cosiddetti intelligenti: la fabbrica che fa dialogare i macchinari, gli uomini e i prodotti. Sistemi di stabilimenti collegati in rete che creano un unico processo produttivo. Potendo razionalizzare la produzione si può personalizzare il prodotto; produrre in modo flessibile seguendo la domanda, senza più eccessi, magazzini pieni e invenduto.
Si sa che la crescita, i cambiamenti globali, hanno sempre ruotato intorno alle grandi innovazioni e spaventano. In questo momento siamo ancora sull’onda lunga delle innovazioni dei secoli precedenti, di più non si può crescere, inseguiamo solo lo zero virgola. Cambiando radicalmente sistema si può crescere di più. Avverrà nel momento in cui sarà possibile la convergenza completa di tutte le innovazioni contemporanee in una nuova rivoluzione industriale, dall’intelligenza artificiale all’internet delle cose. Il cambiamento sarà totale. Come è già successo nei secoli passati, si ridisegnerà tutto: dai centri di produzione all’organizzazione sociale.
Un debole rallentamento può essere causato da uno dei paradossi della nostra epoca e riguarda l’eccesso di liquidità nel mondo che non trova sbocchi per investimenti produttivi: i soldi non mancano ma da noi si parla ancora di recessione tecnica. Proviamo a immaginare l’effetto che si otterrebbe se si desse una prospettiva solida ai progetti economici degli investitori. A quali risultati potrebbe portare un accesso facilitato al micro-credito. Una visione politica che fosse strategica e orientata concretamente alla reale redistribuzione della ricchezza. Senza continuare a rifugiarsi nei tatticismi e nella propaganda.
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