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Spettacoli

FESTIVAL/1 SENZA FELPA

MANIGLIO BOTTI - 15/02/2019

mahmoodLe canzoni, diceva Don Backy alcuni anni fa ad alcuni estimatori che ricordavano un suo brano degli inizi degli anni Sessanta – Cara –, sono nell’aria. Volano e ognuno le fa sue. Poi cadono e – come nella famosa parabola evangelica – sono dei piccoli semi. Qualcuno finisce sulla roccia o tra i rovi, e muore oppure viene soffocato, senza nessuna possibilità di ricrescita. Qualcun altro, invece, cade nel terreno fertile e con il trascorrere del tempo, anche breve, dà vita a piante rigogliose.

Difficile dire se la canzone Soldi con la quale il giovane (ma già abbondantemente over 25) cantante italo-egiziano Mahmood (in realtà si chiama Alessandro, nato da mamma sarda e babbo egiziano e cresciuto al Gratosoglio), vincitore della sessantanovesima edizione di Festival di Sanremo appena celebrata nella sala del Teatro Ariston, sarà come un seme che farà crescere piante e grossi frutti, oppure se morirà dimenticata, e magari addirittura “rimpatriata”.

Certo, non si può dare torto a chi ha affermato che, nonostante tutte le premesse di distanza, di disinteresse, di neutralità questa sia stata un’edizione del Festival politica e sociale, se non addirittura partitica. Del resto sono stati i politici stessi a darle fiato, più degli strumenti dell’orchestra. Ma pure non si può smentire chi afferma che il Festival di Sanremo, così bistrattato, vilipeso, ignorato (?) rappresenti nel bene e nel male lo “specchio” di un Paese, il nostro. Dai primi anni del Dopoguerra a oggi. Forse davvero non sono solo canzonette. Il Festival di Sanremo è un po’ come la Nazionale di calcio, dove tutti si sentono commissari tecnici e aventi diritto a dire la propria, ma sotto sotto c’è qualcosa di più.

Entrando nella banalità delle cose, in questo Festival, dove la passerella delle canzoni s’è mostrata abbastanza nell’ordine delle cose, cioè senza che nessuna canzone brillasse di vera luce propria, qualcuno si aspettava esiti scontati: che so, una vittoria a restituzione di meriti antichi per Loredana Berté, un nuovo successo dei tre “tenorini” classici del Volo, il primeggiare di un giovane bravo e atteso dal nome insolito: Ultimo, e magari anche un segno, una griffe da parte di un cantante e autore di rottura – Achille lauro – con un brano di quelli che ti restano sul gobbo.

Invece no. Ha vinto Mahmood, l’italo-africano integrato, e anche timido e simpatico, un nome che già di per sé fa venire i brividi a tanti benpensanti. Un complotto? Un disegno preordinato di quel conduttore e direttore artistico – il famoso Claudio Baglioni – entrato subito in conflitto di idee con il ministro dell’interno dalla mano dura nei confronti degli immigrati?

Comunque la si pensi in politica, il Festival di Sanremo (specie la serata finale) è sempre seguito almeno da una decina di milioni di spettatori, che messi in fila l’uno dietro l’altro costituiscono un partito di cospicuo consenso. Può darsi che quei dieci e passa milioni non siano da annoverarsi tra coloro che – ormai ogni due o tre mesi – corrono a mettere la propria scheda nelle urne e a rispondere ai sondaggi, cambiando idea ogni volta e dopo avere dato una sbirciatina ai Social. Però qualcuno Mahmood l’ha pure votato o applaudito.

Il giovane italo-africano, cresciuto quasi “söta ‘l Domm de Milan”, dunque, ha acquisito punti senza indossare felpe con su scritto Festival ma una camiciola sgargiante del tipo di quelle che, una volta, si indossavano (noi di origine centro-meridionale) per andare al Luna Park. Un abito “alla ricerca del tempo perduto”.

Festival da ignorare o no o magari da dimenticare, comincia a essere indubbio il fatto che nel 1958, quando Mimmo Modugno aprì le braccia sul palcoscenico – allora – del salone delle feste del casinò di Sanremo, gridando Volare! Oh! Oh!, si apriva nel mondo l’Italia del boom, tredici anni dopo una guerra disastrosamente e vergognosamente perduta.

Può darsi dunque che i Soldi del giovane Mahmood (titolo di una canzone dentro cui potrebbe nascondersi il destino di una vita) rappresentino una svolta interessante. Per lui, per Mahmood, in ogni caso i porti d’Italia non si sono mai chiusi. E quello di Sanremo, anche grazie alle canzonette, s’è dimostrato apertissimo, e la gente ospitale.

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