L’allarme parossistico sulla presunta invasione (vedi QUELLI CHE ARRIVANO) ha messo in sordina, fino ad ignorarla, la faccia opposta della medaglia: quella dell’evasione rappresentata, in questo caso, non dalla malafede fiscale, ma dalla grande fuga di italiani verso l’estero, quelli che se ne vanno.
Una emigrazione che dura da tempo ma che, in particolare nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni e caratteristiche peculiari. Eppure sul fenomeno regna il silenzio. Sì, è vero, non sono mancati richiami e allarmi sui “cervelli in fuga” dall’Italia, ma ad andare non sono solo giovani con livelli alti di istruzione, ma anche manodopera generica. Inoltre mai si è compiuto uno sforzo per approfondire la complessità e l’estensione del fenomeno, le sue dinamiche territoriali e sociali, la destinazione dei flussi e, soprattutto le condizioni materiali vissute dai nostri nuovi emigranti.
Un silenzio significativo e trasversale. Se quelli di prima sono rimasti prigionieri della retorica dei cervelli in fuga e non sono stati capaci di indicare proposte e soluzioni convincenti, quelli di adesso non sono da meno. Infatti neppure loro, troppo impegnati a chiudere porti e cervelli, hanno molto da dire e fare per “quelli che se vanno”. Ulteriore conferma che dietro l’enfasi declamatoria del “prima gli italiani!” c’è solo la volontà di contrapposizione a quelli che arrivano. Come se occuparsi degli uni fosse un impedimento a farlo per gli altri.
Ma guardiamo i dati principali relativi ai nostri che vanno. Nell’ultimo decennio sono più di 2 milioni gli italiani emigrati all’estero. Nel 2018 gli iscritti complessivi all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) hanno raggiunto l’iperbolica cifra di 5.114.469 (l’8,5% dei residenti totali in Italia). In realtà sono molti di più perché non tutti si registrano all’Aire. Ma stiamo ai dati ufficiali. La maggior parte dei nostri migranti risiede in Europa: 2,8 milioni (pari al 54,1% del totale) di cui in Germania 743.799, Svizzera 614.545, Francia 412.263, Inghilterra 315.952.
Il flusso migratorio nell’area UE è stato certamente sollecitato e favorito dal processo di integrazione europea, dalla libera circolazione e residenza oltre che dal comune sentire maturato soprattutto tra i più giovani. Una tendenza che, dopo la Brexit e le pulsioni disgreganti in atto nella UE, subirà certamente una battuta d’arresto con tutte le conseguenze del caso anche sul piano del venir meno dei diritti sociali e di cittadinanza. Il clima è cambiato ovunque. L’idea di rendere difficile la vita agli immigrati con restrizioni di ogni tipo e campagne allarmistiche e denigratorie non è una esclusiva italiana. Segnali inquietanti, diffusi più di quanto non si possa immaginare, provengono da molti altri Paesi dove però gli immigrati siamo noi! Ma, a quanto pare, nessuno ha voglia di riflettere seriamente su quanto sta accadendo da noi e altrove.
Prima che accada il peggio l’UE dovrebbe ritrovare le ragioni della propria esistenza proprio a partire da qui e prima che sia troppo tardi.
Ma se la situazione attuale in Europa è più conosciuta, molto meno si sa delle condizioni degli italiani emigrati nel resto del mondo. Penso in particolare alle nostre comunità più consistenti presenti in Argentina (819.899) e Brasile (415.933) e agli altri 800.00 sparsi per l’America.
La maggior parte dei nostri emigrati, 49,5%, è partita dal Meridione (Sud 1.659.421, Isole 873.615), seguono il Settentrione con il 34,9% (Nord-Ovest: 901.552 – Nord-Est: 881.940) e il Centro con il 15,6% (797.941).
Guardiamo ora cosa è successo nel 2017 (i dati del 2018 non sono ancora disponibili): gli italiani espatriati sono stati 128.193, quasi 7.000 in più degli stranieri arrivati!
Di questi il 37,4% (quasi 48 mila persone) ha tra i 18 e i 34 anni, mentre quelli tra i 35 e i 49 anni rappresentano il 25% (circa 32 mila persone). Quasi in parità le fasce di età più mature 18,5% (23.700) e quelle dei minori 19,2% (24.500). Dati indicativi delle partenze di nuclei familiari (confermato anche dalla composizione per sesso dei partenti: maschi 55% femmine 45%.) e dell’esodo di un numero rilevanti di pensionati.
Un altro particolare significativo è dato dalla regione di partenza con la scoperta di vedere in testa la Lombardia (21.980) seguita, a distanza, dall’Emilia-Romagna (12.912), dal Veneto (11.132), dalla Sicilia (10.649) e dalla Puglia (8.816).
Tra le destinazioni prescelte troviamo in testa la Germania (20.007), il Regno Unito (18.517), la Francia (12.870) mentre gli incrementi maggiori dei flussi si hanno in Portogallo (+140,4%), Spagna (+28,6%), Irlanda (+24,0%). Significativa anche la crescita del Brasile (+32,0%).
I “numeri” riportati consentono di farsi una idea dell’importanza e delle dimensioni della nuova emigrazione italiana, ma ben altro occorrerebbe per comprendere fino in fondo le sue cause, i sentimenti, le aspettative, le condizioni di vita, di quanti cercano altrove quelle opportunità che qui sono loro negate. Le motivazioni che spingono gli italiani a migrare sono molteplici e variano a seconda delle aree e delle condizioni di partenza, ma vanno dalla ricerca dell’indipendenza economica e di una occupazione, a necessità di ordine culturale, dal bisogno di sentirsi professionalmente realizzati, all’urgenza di inseguire nuove opportunità di vita, dal volersi confrontare con altre realtà, al rifiuto di quella nazionale in cui non ci identifica più.
Per milioni di altri uomini, invece, sono dettate dalla necessità di fuggire dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria più nera.
Per tutti, partire rappresenta il diritto a vivere la propria vita in modo dignitoso e sereno e, possibilmente, all’insegna della felicità.
PS: l’articolo trae spunto dalla lettura del Rapporto Migrantes 2018 e dei volumi: Quelli che se ne vanno di E. Pugliese e Viaggio tra gli italiani all’estero entrambi da il Mulino.
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