Ci voleva anche questa! Credevo che avessero raggiunto il fondo facendo gli smargiassi, ma ora sono diventati pericolosi.
Mi riferisco al nostro vice – presidente del Consiglio e al suo accolito Di Battista (ma che ci fa costui accanto al Giggino nazionale: è suggeritore, guardia del corpo, badante o gli fa da “spalla”?) chiamati, a furor di popolo, a governare il paese al grido di una battutaccia, al comando di un arruffapopolo e al seguito di promesse che non potranno mai essere mantenute. Dapprima hanno aizzato il popolo contro la casta, lo hanno assicurato che mai si sarebbero alleati con la Lega, per finire poi tra le sue braccia dimostrandosi coniuge fedifrago in un matrimonio che non poteva essere consumato perché sono sterili di idee e di strategia, mentre l’altro coniuge continuava a fare la concubina, restando a loro unito a Roma e amoreggiando con l’ex amante in Abruzzo…
Quando l’attendibilità della politica estera di uno Stato viene detestata, se non ridicolizzata, da altri stati c’è il rischio d’incorrere nell’isolamento. De Gasperi diceva che la credibilità di un paese si misura dalla sua politica estera. Se un vice – premier di un paese amico va ad incontrare il capo dell’ala più oltranzista dei gilet gialli, che non sono proprio dei benevoli scioperanti che chiedono salari più giusti, servizi più efficaci, bensì degli sgangherati intenzionati a scardinare il sistema repubblicano francese, scoppia un caso diplomatico. Di Maio e Di Battista farebbero meglio ad ascoltare chi manifesta in Italia piuttosto che ascoltare chi manifesta in Francia.
Lo so che a Di Maio e company non interessano le quisquilie degli apparati statali, delle regole da rispettare, della diplomazia, che è l’arte di trattare, per conto dello Stato, gli affari di politica internazionale o bilaterale, ma questo loro gesto non è per nulla piaciuto a Emmanuel Macron, che ha ritirato (non “richiamato per consultazioni”!) il proprio ambasciatore a Roma. Il che significa che la Francia potrebbe essere vicina alla rottura diplomatica con l’Italia, se non interverranno le scuse presentate dal nostro Presidente del Consiglio che fino a questo momento non sono giunte.
Non mi si venga a dire che Di Maio si è presentato a Parigi come referente del suo partito e non come esponente del governo italiano. Come fa a separare i due ruoli? Vorrei ricordargli – visto che si trovava in Francia – che con il suo omonimo re Luigi V si spense il ramo francese dei carolingi e costui passò alla storia come il fannullone, l’ignavo, l’indolente, l’infingardo. Il suo regno durò brevemente e fu sostituito dal ramo dei capetingi!
Sono arrivate, in compenso, le avvisaglie di uno sfilamento della Francia dal salvataggio dell’Alitalia. I nostri hanno rimbeccato alla Francia il suo atteggiamento disumano nel respingere i profughi alle sue frontiere e nel rinviarli in Italia da dove erano partiti. Salvini, poi, ha rincarato la dose verso i cugini d’oltralpe colpevoli di ospitare nel loro territorio quindici terroristi italiani: sempre con parole vuote, mai con un argomento ben definito o un concetto logico.
Salvini non ha voluto essere di meno del suo dioscuro e “ha convocato a Roma” il ministro degli interni francesi. ”Peso el tacon del sbrego” – dicono dalle mie parti. Un ministro di un vicino paese “convoca” il suo omologo? Si può convocare un subalterno, ma non certo un ministro di un altro paese. La politica abbisogna anche di gesti, di simboli, di rispetto. Lo sa bene Salvini stesso che, pur di compiacere la folla osannante, cambia divise – che possono indossare solo i servitori dello Stato! – tre volte al giorno.
L’indomani, tutti e due esprimono la loro intolleranza in pubblico (ma avranno esposto prima le loro proposte ai colleghi ministri?) verso le autorità indipendenti della Banca d’Italia. E il ministro Tria deve intervenire per metterli a tacere.
E che dire dell’atteggiamento indifferente del nostro governo sulla grave crisi politica scoppiata in Venezuela? Pare che l’Italia non voglia capire che l’equidistanza (che non è la mediazione del Vaticano!) nelle attuali circostanze significa di fatto appoggiare Maduro. Sembra che al nostro governo non interessino gli interessi economici del nostro Paese, innanzi tutto il recupero di miliardi di dollari di esposizione per lavori effettuati durante l’era chavista, che sta minando la solidità di alcune imprese italiane. Il tutto mentre il nostro ministro degli esteri e la nostra diplomazia vengono umiliati e avviliti.
Ecco: la baraonda regna nel governo italiano anche in politica estera, mentre nella nazionale proclività all’oblio irresponsabile, difficilmente ci ricorderemo di chi in questi giorni sta procurando l’addensarsi di nere nubi.
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