Affascinante Paese a cui noi italiani dobbiamo molto. Senza gli Usa la Dc non sarebbe bastata a non farci cadere nell’abbraccio mortale con il comunismo sovietico. Vertici e abissi, certamente, ma più numerosi i primi che i secondi.
Devo dirlo però subito. Ho sempre simpatizzato per gli Stati Uniti fin da giovane. Quando studiavo sociologia a Trento, da studente lavoratore, gli “snob” della rivoluzione in un paio di occasioni mi avevano “impiccato” sulla lavagna con l’insulto “Amerikano” con la kappa. Una volta ha visto l’orribile disegno il professor Francesco Alberoni, allora famoso anche perché scriveva sui “giornaloni”, ma ha fatto finta di niente. Da qui la mia perenne disistima per lui.
L’America ha commesso e commette errori anche molto gravi ma continuo a vederla come la Nazione guida delle democrazie occidentali. I Presidenti, che piacciano o no, passano mentre il sistema di libertà, di pesi e contrappesi istituzionali (il check and balance) resta valido. Il Presidente può mettere veti sulle decisioni del Congresso e il Congresso può fermare il Presidente come abbiamo visto con lo “Shutdown” delle scorse settimane. È un sistema federale con una incredibile velocità di adattamento alla realtà che cambia.
Basti pensare alla loro Costituzione del 1787, ratificata due anni dopo, la prima al mondo: un Preambolo, 7 (sette) articoli e 27 (ventisette) emendamenti l’ultimo dei quali è del 1992. Tutto qui. Difficilissime le procedure per modificare la Costituzione ma questo compito di aggiornamento lo assume spesso la Corte Suprema con le sue decisioni. Per questa ragione la battaglia per nominare i giudici (rimangono in carica pressoché a vita) è così decisiva ed aspra.
Cenni che servono solo per dire come quello degli Usa sia un mondo politico e di governo diversissimo dal nostro. Sorrido quando sento o leggo chi vorrebbe portare in Italia “pezzi istituzionali” americani. Peraltro sul piano del welfare è da preferire nettamente il modello europeo.
Uno sguardo su questa realtà lo danno il film “Vice – L’uomo nell’ombra”, sul Vice-Presidente Dick Cheney ai tempi di George W. Bush e il libro “Paura. Trump alla Casa Bianca” di Bob Woodward uno dei due giornalisti del caso Watergate che era costato la Casa Bianca a Nixon.
Il film descrive bene (è pur sempre però una fiction) il grave errore della guerra in Iraq ma soprattutto i rischi che corrono gli Usa (e il mondo) quando la Casa Bianca assume un potere troppo forte a svantaggio del Congresso, il loro Parlamento. Dopo quell’oscuro periodo il sistema è però tornato alla sua normalità democratica. Il libro rappresenta invece la vita giorno per giorno alla Casa Bianca con le pulsioni istintive di Trump, i muri anti immigrati, il disprezzo per il “politically correct”, la comunicazione spesso improvvisata, imprevedibile e corrosiva.
Con tutte queste differenze le fasi storte americane influiscono sui comportamenti politici in Europa. “American First” di Trump è il progenitore di “Prima gli italiani”. Il suo nazionalismo e protezionismo è contagioso. La compulsione dei tweet è imitata da parecchi dei nostri governanti e politici, il che può tradursi in una perversa sottovalutazione dei corpi sociali intermedi.
Il fatto è che l’America ha una fortissima capacità di autocorrezione perché i vizi non vengono stabilmente incorporati nella Costituzione e spesso nemmeno nelle leggi. Si passa da Obama a Trump e lo spirito americano ne esce inalterato così come la vocazione all’unità della nazione. È questo che invidio all’America. Non per niente non hanno mai avuto né Mussolini né Hitler.
You must be logged in to post a comment Login