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Divagando

IMPRESA IN CUI CREDERE

AMBROGIO VAGHI - 15/02/2019

calendaLa proposta dell’ex ministro Carlo Calenda di andare alle prossime elezioni per il parlamento europeo presentando un’unica lista di candidati aperta a tutte le realtà organizzate o individuali europeiste del Paese, fa discutere come è giusto che sia. La proposta-manifesto nasce dalla preoccupazione che l’Unione Europea sia in grave pericolo di dissolvimento a causa dei tanti ismi nazionalisti trascinando nel suo fallimento gli stessi valori di libertà democratiche che l’hanno fatta nascere. Si vorrebbe realizzare un coinvolgimento di forze assai largo che vada oltre quelle solitamente impegnate nelle istituzioni, senza simboli di partito. Tutti coinvolti per realizzare un’Europa del liberalismo, dell’accoglienza, dell’integrazione, del progresso, della solidarietà sociale. Pensando a un domani di Stati Uniti d’Europa con un’unica politica estera, un solo esercito, un unico mercato del lavoro e dei capitali.

Una volta eletti, senza vincoli, i singoli deputati potranno collocarsi nel Parlamento Europeo nei gruppi più affini alle loro convinzioni politiche. Una proposta ancora aperta, migliorabile, non facile da attuare ma un tentativo che vale la pena di perseguire fino in fondo. I dubbi sono legittimi ma sofisticare sui simboli di partito messi in un canto per aprire ad uno schieramento più largo possibile in grado di vincere e di salvare quell’Europa nata dalle menti dei quattro patrioti confinati a Ventotene dal regime fascista, dimostra in chi li esprime un’ampia insipienza politica. In ogni situazione critica va individuato l’obiettivo principale da perseguire se si vuole battere l’avversario principale.

La storia è ricca di momenti di avvedutezza e di momenti di vero e proprio cretinismo politico. Una delle scelte positive più vicine nei ricordi è certamente stata quella presa a Salerno nel 1944 in un’Italia per metà occupata da tedeschi e repubblichini e l’altra metà già in mano agli eserciti alleati. In quell’Italia liberata, monarchici e repubblicani contrapposti non riuscivano a mettere insieme un Governo. Saggia fu la decisione di rinviare a dopo la questione istituzionale, Repubblica o Monarchia. Prima bisognava liberare tutto il Paese da tedeschi e loro alleati fascisti. È ben noto quanto questa decisione valse a dare impulso alla Resistenza partigiana al Nord e quanto ebbe a contare successivamente al tavolo della pace.

Del resto un raggruppamento elettorale senza simboli di partito l’abbiamo già avuto nella storia della nostra Repubblica.

Alle elezioni politiche italiane del 1948 si presentò Il FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE sotto il simbolo di Giuseppe Garibaldi, l’eroe del nostro Risorgimento. Sento qualcuno che già obietta… ma tu citi una clamorosa sconfitta.

Tutto vero, ma vale la pena parlare dei perché di quella pesante decisiva sconfitta dello schieramento di sinistra, come pure dei problemi organizzativi che il FDP dovette affrontare in quei frangenti e che potrebbero essere di insegnamento ancora oggi.

La sconfitta va vista nel contesto della situazione politica del momento.

Il FDP per la libertà, la pace, il lavoro” era nato alla fine del 1947 su iniziativa del PCI e del PSI i due maggiori partiti della sinistra italiana, condotti rispettivamente da Palmiro Togliatti e da Pietro Nenni. Il PSI ne aveva deliberato l’adesione a maggioranza con un congresso che risentiva della grave scissione socialdemocratica operata da Giuseppe Saragat. Questi uscendo dal vecchio Psiup aveva fondato il Partito Socialista Lavoratori Italiani (PSLI, chiamato solitamente ”Partito dei piselli “per l’assonanza dell’acronimo) e aveva praticamente dimezzato i gruppi parlamentari socialisti di Camera e Senato.

Il FDP fu un tentativo di recuperare quanto la sinistra aveva perso dopo la fine del Governo di Ferruccio Parri che aveva rappresentato la rottura definitiva di quella unità delle forze democratiche antifasciste che si era consolidata nei Comitati di Liberazione nazionale. L’adesione al Fronte di tante personalità del mondo della cultura, dell’arte, del passato politico pre fascista aveva suscitato molte speranze. Tuttavia si stava consolidando la contrapposizione dei blocchi occidentale ed orientale usciti vittoriosi contro la Germania nazista. La guerra fredda era iniziata e si doveva fare di tutto perché non diventasse calda.

La divisione si era trasferita anche sulla scena politica italiana. Comunisti e Socialisti erano legati all’Internazionale socialista diretta dal PCUS sovietico, mentre la DC con alla testa Alcide De Gasperi era passata nell’orbita occidentale e per garantirsi l’appoggio degli Stati Uniti col piano Marshall non aveva esitato a scacciare i comunisti dal governo.

Nel 1948 lo scontro si presentava risolutivo. i partiti che contrastavano i socialcomunisti. con la DC in testa, mobilitarono tutte le possibili forze politiche con argomenti certamente efficaci quali il famoso manifesto con lo sfilatino di pane che sarebbe venuto a mancare al popolo italiano se l’America avesse interrotto i suoi aiuti.

Altri argomenti erano invece di insulto all’intelligenza degli elettori, evocando le più nere paure quali “Nella cabina Stalin non ti vede, ma Dio sì” oppure le orde di Cosacchi che invadevano Roma abbeverando i loro cavalli nella Fontana di Trevi o in quella di Piazza San Pietro. Tutto legittimo comunque da parte di un Partito politico governativo e di alte responsabilità.

Clamorosa ed inattesa fu invece la pesante interferenza nella campagna elettorale della Chiesa cattolica che considerava un gravissimo pericolo per la religione una eventuale vittoria del FDP.

L‘impegno del Vaticano fu massimo. Dello stesso Pontefice PIO XII che dichiarava che col voto si trattava di scegliere “con Cristo o contro “Cristo”; dell’Azione cattolica, che metteva Gedda suo presidente a capo dei Comitati Civici; del gesuita Padre Lombardi trasformatosi in comiziante “microfono di Dio”; dei Vescovi che ricordavano come fosse peccato mortale non andare a votare e peggio votare per certi partiti; giù giù fino alle infinite Madonne Pellegrine fatte sfilare nelle strade di città e paesi con tanto di predicatori al seguito.

Successivamente lo stesso Alcide De Gasperi tentò di attenuare il pesante patronaggio della religione sul partito della DC, ma non è il caso di aprire qui un altro capitolo.

Tutto questo è storia documentata negli archivi, anche se parlare del passato in Italia è sempre cosa complicata.

Meglio parlare delle liste del FDP e di quante analogie si possono individuare per le liste locali e l’organizzazione del listone proposto col Manifesto da Carlo Calenda. Vorrei con la mia testimonianza tentare di convincere coloro che si preoccupano per la mancanza di simboli di partito o di raggruppamenti. Importante è che ognuno schieri candidati di valore conosciuti o sostenuti dai propri partiti o movimenti; spetterà poi a questi segnalarli ed organizzarne le preferenze.

Nella primavera del 1948 rappresentai il PCI nell’ufficio elettorale provinciale del FDP. Con me operò per il PSI il giovane Alvaro Barili, di Laveno Mombello. Si trattava di definire luogo e data dei comizi e destinarne gli oratori, far stampare manifesti, inviare agli organismi di base tutto il materiale di propaganda collegandoci strettamente coi partiti di riferimento. La sede era in Varese, in via Copelli nella ex Casa del Balilla, la palazzina tuttora esistente dietro i giardini estensi ed ora occupata da uffici del Comune.

Facevamo parte della circoscrizione elettorale della Camera dei Deputati di Varese, Como e Sondrio. Si trattava di scegliere 14 candidati tanti erano i deputati da eleggere. Iniziò una faticosa guerra sui nomi per accontentare partiti e le tre province interessate. Il PSI, partito che nella nostra area aveva in precedenza raccolto più consensi dei comunisti, pretendeva numerosi suoi rappresentanti e sosteneva le candidature di altre valide persone più o meno conosciute nei territori. Il PCI, tenuto conto che le preferenze accordate ad ogni elettore erano quattro, propose solo quattro candidati per non disperdere voti. E tutti e quattro vennero eletti. Il PSI disperse le sue preferenze e riuscì ad eleggere solo il giovane Cesare Bensi. Una sorpresa.

Milanese di 26 anni, Bensi detto Cesarino, conosciuto solo come figlio di un ex sindaco di Milano nell’epoca pre fascista, ebbe la sfortuna/fortuna di trovarsi ricoverato per una malattia polmonare nel Villaggio sanatoriale di Sondalo in Valtellina, insieme ad altri 2000 degenti, altrettanto personale sanitario e qualche migliaio di cittadini residenti in paese. Molti furono orgogliosi di avere tra di essi un giovane intelligente, prestante, premuroso e sempre disponibile. Lo votarono. Iniziò cosi in un luogo di sofferenze la brillante carriera politica di Cesare Bensi eletto successivamente deputato per altre cinque legislature. Si distinse come valido uomo politico, sempre nel PSI, con ripetuti importanti incarichi governativi. Tenne sempre contatti diretti con Varese, dove si spense nel 1986 non ancora avanti negli anni.

Parecchi Sindaci di importanti città, numerose personalità della società civile ed ora anche ufficialmente l’intero Partito Democratico, hanno già sottoscritto il manifesto europeista. Se Carlo Calenda andrà avanti, come mi auguro, si troverà sicuramente stretto dalla guerra delle candidature, più che dei programmi. Niente di male. Tutto fa parte dell’impresa. Tanto importante che richiede pazienza impegno lungimiranza e anche generosità da parte di tutti.

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