E adesso? Per due settimane, tutte le sere prima di addormentarmi, ho fluttuato nella Stazione Spaziale Internazionale, ho perso e inseguito oggetti sfuggiti dalle mani per assenza di gravità, ho curato moscerini della frutta e vermetti microscopici, ho affrontato emergenze, ho azionato comandi, eseguito calcoli, indossato e tolto tute; e quando qualche problema mi sembrava insuperabile, mi sono rifugiata nella cupola a guardare albe e tramonti, aurore boreali e nubi nottilucenti, rughe e fratture della Terra, oceani e deserti, per ricordare quanto fosse insignificante il mio insuperabile problema. E adesso? Adesso che il libro è finito, che ho letto persino il glossario e i ringraziamenti del Diario di Samantha Cristoforetti, come faccio?
Ogni volta che finisco di leggere un libro che mi ha appassionato ho una sensazione di vuoto, come se un caro amico se ne fosse andato per sempre in capo al mondo. Mentre leggo – intendo romanzi, biografie o diari -, l’autore parla a me soltanto, mi ha scelto perché sa che lo posso capire. Quando giro l’ultima pagina, la magia finisce, l’intesa si interrompe, l’amico si allontana, anzi, non si è mai avvicinato, non saprà mai che l’ho ascoltato e amato.
Anche questa volta mi è successo, non tanto perché fossi affascinata dallo stile, a cui non ho prestato molta attenzione, ma perché mi ha conquistato l’eccezionalità dell’esperienza e la passione con cui è stata raccontata. Fin da bambina ho desiderato volare. Se fossi nata in un’altra epoca, avrei tentato anch’io la via dello spazio. Perciò provo un’ammirazione profonda per questa ragazza intelligente, preparata, tenace, capace di affrontare il mistero dell’universo con lo sguardo rigoroso dello scienziato e con la sensibilità del poeta: perché è tutto quello che avrei voluto essere io.
Ma nel racconto di tali imprese c’è qualcosa in più che avvince ed emoziona: è l’inesauribile desiderio dell’essere umano di avventurarsi nell’ignoto. Le pareti di quell’astronave, orbitante a 400 chilometri dalla Terra, dove da quindici anni sei persone si avvicendano vivendo per mesi in uno spazio ristretto, non sono solo uno scudo protettivo, sono il limite da superare. Sono, al tempo stesso, la siepe leopardiana, oltre la quale l’immaginazione può farci naufragare in uno spazio e in un tempo infiniti, e le Colonne d’Ercole, da varcare per illuminare con la luce della conoscenza il mistero proibito.
Mi sono sempre sembrate meschine e miopi le argomentazioni di coloro che periodicamente polemizzano sul costo eccessivo di queste missioni, sostenendo che bisognerebbe investire in attività più utili: a mio parere nascono dalla stessa mentalità di chi afferma che con la cultura non si mangia. Spero, invece, che si continui sulla via dell’esplorazione, perché, indipendentemente dalle motivazioni politiche ed economiche che la muovono, risponde a quel bisogno di conoscenza che è la cifra dell’animo umano, in ogni epoca e in ogni cultura.
La “passeggiata” che pochi astronauti hanno il privilegio di fare nell’infinito cosmico non è forse la forma moderna, tecnologicamente avanzata, del “folle volo” di Ulisse che incanta Dante nel XXVI dell’Inferno?
Samantha Cristoforetti, Diario di un’apprendista astronauta, La Nave di Teseo
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