Volutamente non intendo fare l’ennesimo necrologio ma solo cercare nel cassetto dei ricordi. Per me parlare di Giuseppe Zamberletti vuol dire andare un po’ in là con gli anni. Tanti. Almeno una sessantina. Era giusto da poco passata le metà degli anni ’50 del secolo scorso quando ci incontrammo nel Consiglio Comunale di Varese. Lui consigliere della Democrazia Cristiana ed io del Partito Comunista Italiano. Lui con i suoi 23 anni ed io con qualcuno di più. I numerosi consiglieri della DC, quasi tutti anziani e con un passato di rispetto, guardavano con sorpresa quel piccoletto dal volto sorridente, fresco ragioniere. Ma il cognome era noto: il fratello di Zamberletti, per tutti Domenichino, aveva lasciato la vita terrena, giovanissimo, con un alone di cristiana beatitudine. Una religiosità conosciuta ormai anche fuori dal natio luogo, Santa Maria del Monte.
Giuseppe faceva l’assistente di Santero, senatore della DC di Busto Arsizio. Io avevo già sulle spalle esperienze di vita pesanti. La partecipazione alla Resistenza, il lavoro con l’indimenticabile Gianni Rodari al settimanale del PCI di Varese “l’Ordine Nuovo”, l’iscrizione all’albo dei giornalisti dal 1948, una grave malattia polmonare con lunghi ricoveri in Istituti sanatoriali. Infine un impegno di ripiego nel movimento cooperativo.
Il giudizio scettico verso il giovane sacromontino mi fu esplicitamente confermato dall’allora sindaco avvocato Lino Oldrini in una conversazione… a microfoni chiusi. Quel sindaco, uomo di eccelsa cultura ed indiscusso “Principe del foro” varesino, considerava quasi una profanazione l’entrata di un giovanotto nel più alto consesso cittadino dove sedevano per tradizione professionisti affermati, uomini di cultura, persone che si erano distinte nel campo del lavoro, dell’associazionismo, nella politica.
Quanto fosse errato il giudizio di Oldrini, prematuramente scomparso, apparve pochissimi anni dopo. Giuseppe Zamberletti, eletto deputato nella Circoscrizione di Como, Varese e Sondrio, mise in mostra, oltre all’impegno e alle indubbie qualità politiche, il meglio della sua intelligenza e delle sue doti di lombardo facendo del pragmatismo la cifra della sua personalità. Seppe anche mettere a frutto nei meandri dei palazzi romani quanto aveva appreso dalla sua passata attività di assistente d’un parlamentare.
Come è noto ebbe incarichi governativi da Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Cossiga che apprezzarono le sue qualità organizzative, direi manageriali, rivelatesi soprattutto in episodi drammatici per il nostro Paese come i terremoti del Friuli e dell’Irpinia. La creazione della Protezione Civile come organizzazione permanente, anche di volontariato, non solo impegnata nei grandi sinistri ma rivolta soprattutto alla prevenzione e alla sicurezza dei territori, è rimasto il suo mai appassito fiore all’occhiello. Da qui anche i numerosi e prestigiosi incarichi a livello nazionale ottenuti dopo il ritiro dall’attività parlamentare. Insomma non un uomo politico fra i tanti ma un vero appassionato servitore dello Stato democratico.
Per molto tempo non avemmo più occasioni di incontrarci. Una decina di anni fa o anche meno, nei pressi del noto piantone di via Veratti in quel di mezzogiorno mentre andavo a prendere il mio bus urbano per tornare a casa verso il Ronchetto dei Fè, notai Giuseppe che incedeva lento col telefonino all’orecchio. Andava verso casa nella vicina via Cesare Battisti. Come mi vide, avvicinandosi mi disse “Tel chì el Vaghi… ma sai che non sei cambiato per niente ? Ti ho riconosciuto subito”. E via immediatamente, a scambiarci qualche ricordo di quel Consiglio Comunale di mezzo secolo prima.
Da allora essendo entrambi abitudinari ci incrociammo di frequente sempre in via Veratti, con lui che tornava dai suoi quattro passi nel centro di Varese. Quattro chiacchiere sulla situazione politica con eguali giudizi negativi e preoccupati.
Nel 2016 ci trovammo alla celebrazione del bicentenario della Città di Varese, entrambi tra i sedici benemeriti premiati. Fu un’altra occasione per scherzare sui nostri anni che avanzavano e sulle medaglie accumulate. Io poi ricordavo di avere avuto nel lontano 1966 la stessa medaglia per il centocinquantesimo centenario, sempre della città. Insomma la nostra sopravvivenza finiva per essere un costo per il Comune di Varese… diceva lui con la consueta arguzia.
Qualche tempo dopo Giuseppe venne a trovarmi nella mia attuale residenza alla casa albergo per anziani del Polivalente Asfarm di Induno Olona.
Conosceva parecchi dirigenti comunali indunesi ed era curioso di capire come si viveva e si era accuditi in questa comunità. Aveva il problema suo degli anni che avanzavano, ma soprattutto di sua moglie assistita da ben due badanti e da diversi sanitari. Stava pensando ad una soluzione. Certamente anche per lui sarebbe stato uno strappo doloroso abbandonare l’amata Varese ed i suoi quattro passi mattutini in centro città.
Lo aspettavamo tra noi nei prossimi giorni per l’inaugurazione del nuovo salone di soggiorno degli ospiti, a disposizione per eventi culturali o comunitari. Zamberletti era stato presente all’inizio dei lavori e avrebbe certamente avuto il piacere di vederne i risultati. Un avveniristico luogo provvisto di una full-immersion telematica di grande effetto.
Gli organizzatori si attendevano pure la sua presenza alla premiazione della “Letterina d’oro a Babbo Natale”. Un concorso che ha coinvolto le scuole della Valceresio, come spiega Sergio Redaelli in altra parte del nostro giornale.
Non lo rivedremo più, ma sono lieto di sapere che una persona eccelsa ha lasciato tanti segni indelebili del suo passaggio nella vita terrena e di avere avuto con lei una stima reciproca. Grazie Giuseppe per la tua amicizia.
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