Peppino, o Zambo, o Zorro, per gli amici radioamatori, non ha bisogno di un’apologia; tanto meno di un elogio funebre. È rimasto uno dei pochissimi politici cui siano stati riconosciuti quasi tutti i meriti. Dico ‘quasi’ con la consapevolezza di andare controcorrente, sapendo come i tempi odierni non siano inclini alla riconoscenza verso questa categoria di persone, soprattutto se rimaste alla ribalta per un tempo non breve. Zamberletti è una fortunata eccezione, grazie soprattutto ad una virtù spesso non percepita: quella di essere rimasto ‘normale’.
Non era, probabilmente, un atteggiamento costruito, ma il frutto spontaneo di essere varesino, anzi sacromontino: il carattere schivo può nascere dall’educazione, dalle esperienze giovanili, dalla frequentazione precoce di grandi personalità, quali quelle dei politici della prima generazione democristiana. Però mi piace immaginare che il senso delle proporzioni associato all’apertura alla dimensione del mondo nasca dall’abitudine allo sguardo verso l’infinito che dal balcone del ‘Mosè’ è stato per lui esperienza quotidiana: esperienza contemporanea di piccolezza del proprio sé e di grandezza di compiti e prospettive.
Privilegiare il compito rispetto al potere, questo il suo tratto distintivo, che ho apprezzato soprattutto a partire dal suo ruolo di Commissario alla ricostruzione del Friuli, dopo il disastroso terremoto del 1976. Nel compito rientrava sempre, oltre alla dedizione personale, la capacità di trasmettere energia e responsabilità ai subordinati, una cosa che nell’ambito del rapporto tra politica e amministrazione pubblica è sempre stato più miracoloso che difficile. Non mancava d’ironia, anche verso se stesso, come quando raccontò di uno striscione comparso allo stadio di Napoli, mentre era commissario alla ricostruzione dell’ Irpinia: ”Zamberletto tient’e case e caccia o scudetto”.
Con lo stesso spirito ha sostenuto altri incarichi, dopo il termine della carriera politica, in particolare come Presidente della Società del Ponte di Messina e dell’IGI, Istituto Grandi Infrastrutture, l’associazione che riunisce a scopo promozionale le maggiori imprese di tale settore.
Nel nostro piccolo abbiamo avuto l’onore di averlo come Presidente dell’Associazione Alta Capacità Gottardo (ACG), sorta per la promozione dello sviluppo di infrastrutture ferroviarie nel territorio varesino, utili a massimizzare i benefici e ancor più necessarie per minimizzare i disagi derivanti dalle ricadute dell’aumento del traffico ferroviario conseguente all’attivazione del nuovo traforo. Durante la lunga gestazione del raccordo ferroviario Stabio-Arcisate è stato indubbiamente un sostegno operativo alla realizzazione dell’opera strutturale per Varese, la più importante da moltissimi anni a questa parte. Per vedere appieno i benefici apportati da questa infrastruttura occorrerà attendere che Trenitalia estenda e rafforzi i servizi che attraverso Varese mettono in comunicazione l’aeroporto della Malpensa con Como e Lugano. Ma questo risultato potrà essere raggiunto solo grazie ad un forte impegno delle Istituzioni locali e di Regione Lombardia, così come la realizzazione di altri due annosi suoi desideri, da me pienamente condivisi: l’istituzione di alcune coppie di treni che raggiungano da Varese la Stazione Centrale di Milano e il completamento delle uscite autostradali di Varese (in fieri quella di viale Europa, temo insabbiata quella verso viale Borri), la cui mancanza ha reso veramente poco utile il raddoppio del tratto autostradale da Gazzada a Loreto, da lui realizzato come Ministro dei Trasporti.
Credo sia inutile decantare la creazione della Protezione Civile, tanto importante da essere la ragione della presenza al suo funerale del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, ma è impossibile non sottolineare la presenza di tanti volontari provenienti da tutte le parti d’Italia, segno tangibile di stima e di affetto e conferma che questa struttura non fu voluta solo con atto legislativo, ma fu costruita sul territorio e sulle persone, con un paziente lavoro di rapporti concreti. Voglio piuttosto richiamare due iniziative, meno celebrate, ma significative: a Varese l’istituzione del Liceo Artistico, apparentemente lontana dai suoi principali interessi, ma apprezzata dalla città, e la missione navale nelle acque dell’Oceano Indiano per salvare i profughi in fuga dal Vietnam, un argomento che oggi non sarebbe neppure preso in considerazione.
Oggi Peppino riposa nel suo Sacro Monte, alla cui valorizzazione diede pure un contributo, appoggiando Mons. Macchi; osiamo sperare che questa parte significativa di un Patrimonio culturale dell’Umanità possa trovare un significativo sviluppo, nel rispetto dell’ambiente naturale e della vocazione religiosa che fanno della ‘montagna di Varese’ un luogo straordinario di memorie storiche, di vita religiosa attuale, di cultura artistica e ambientale.
Avrei dovuto concludere qui, ma resterei con un tormento interiore se non esprimessi un ultimo concetto, pur correndo il rischio di essere frainteso a causa del mio amore per il paradosso: gli ho già riconosciuto la virtù di essere rimasto un uomo ‘normale’, terra terra, concreto e alla mano; insisto nel volerlo definire anche ‘normale’ come politico, che forse è un’altra forma di eccezionalità, soprattutto oggigiorno. Normalità in politica significa avere una buona competenza nelle materie di cui ci si occupa, una viva attenzione per il territorio in cui si è stati eletti, un decoroso rispetto per tutte le persone, di ogni origine e classe sociale che si è chiamati a rappresentare, la consapevolezza che si rappresenta TUTTO IL POPOLO ITALIANO e non solo i propri elettori in senso stretto. Per diventare politici normali occorre allenare tre virtù: pazienza, prudenza e umiltà, che si riducono ad evitare un atteggiamento oggi assai diffuso: fare il ‘fenomeno’. Pazienza, per dare a se stesso il tempo di imparare e per non pretendere di ottenere tutto, subito e a tutti i costi la realizzazione del proprio ambizioso programma; prudenza, per non compromettere le proprie stesse possibilità con avventati oltrepassamenti delle proprie competenze; umiltà, in senso letterale ed etimologico (humus), per restare vicini alla terra, quindi fecondi e perché l’insuperbirsi del neo-potente, prossimo a diventare pre-potente, è la cosa che più allontana da lui la simpatia della gente.
Un grande grazie a Giuseppe Zamberletti per essere stato un politico eccezionalmente normale.
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