Considerando sia la tragica vicenda di Franco Lamolinara — l’ingegnere di Gattinara (Vercelli) ucciso lo scorso 9 marzo a Sokoto (Nigeria) dopo che da quasi un anno era nelle mani dei suoi sequestratori – e sia quella dei due nostri militari fermati e detenuti in India, si deve ahimè concludere che, almeno in quanto a politica estera, si stava meglio quando si stava peggio… Come avemmo modo di rilevare quando venne presentato alle Camere, l’attuale governo si articola in due distinti segmenti: uno costituito dai ministeri, innanzitutto economici, che presidiano ambiti su cui Monti ha avuto incarico di concentrare la propria azione, e l’altro invece costituito da ministeri che presidiano ambiti di cui il nuovo Premier riteneva di potersi disinteressare. Questi ultimi sono stati dati per così dire in autogestione alla loro stessa burocrazia: è il caso di ministeri come quello degli Interni, della Difesa, degli Esteri, affidati rispettivamente a un prefetto, a un alto ufficiale, a un ambasciatore (e quello dell’Ambiente addirittura al Direttore generale). A suo tempo ci eravamo permessi di osservare che si trattava di un grosso errore: in primo luogo perché la responsabilità politica è generale per natura sua, e quindi l’agenda di un governo viene comunque fissata anche dai fatti e non soltanto dalle priorità che esso si pone; e in secondo luogo perché la struttura interna di ciascun ministero così gestito sarebbe certamente uscita sconquassata dalla trasformazione in ministro di uno dei suoi alti dirigenti.
La tragica conclusione del rapimento di Franco Lamolinara e i maldestri sviluppi del caso dei due fanti di Marina detenuti in India di ciò sono purtroppo una conferma. I fatti dimostrano che paradossalmente, se lasciati a se stessi, i proverbiali “addetti ai lavori” si comportano come gli altrettanto proverbiali “dilettanti allo sbaraglio”. Nel caso dell’uccisione dell’ingegnere di Gattinara, insieme al quale ha perso la vita pure un ostaggio britannico, mano a mano che si delineano i particolari del fallito “blitz” di forze speciali anglo-nigeriane appare evidente l’insipienza di chi l’ha organizzato. A monte di tutto ciò s’intuisce tuttavia anche una disastrosa concorrenza tra servizi segreti italiani e britannici, che peraltro è costata la vita non solo all’ostaggio italiano ma anche a quello britannico. A ragione Roma ha protestato fermamente con Londra, ma è doveroso osservare che la Gran Bretagna ha pagato non meno dell’Italia le spese dell’operazione.
Senza fortunatamente avere, nemmeno nella peggiore delle ipotesi possibili, prospettive altrettanto oscure, la vicenda dei due fanti di Marina fermati e detenuti in India è tuttavia ben più emblematica in quanto esempio di quali guai possa provocare, malgrado tutto, la ritirata della politica da ambiti che sono soltanto suoi. È evidente che ci sono in questa faccenda troppe cose strane. Come mai lo scorso 15 febbraio, dopo un incidente che si dice essere avvenuto in acque internazionali, la petroliera “Enrica Lexie” ha fatto rotta verso le coste del Kerala andando ad attraccare a Kochi (che è poi l’antica Cochin, punto di arrivo nel 1498 dello storico viaggio di Vasco Da Gama, diremo per chi si interessa di queste cose)? Per ordine di chi i due fanti di Marina, militari in armi a presidio della nave, ne sono scesi disarmati e sono andati a consegnarsi alla polizia locale?
A questi due fatti già strani se ne sono aggiunti altri altrettanto strani. L’ambasciata d’Italia a Dehli non è stata mobilitata, ma invece si è spedita nel Kerala una delegazione di “funzionari”, dunque di persone non di rango diplomatico, per trattare con le autorità locali, peraltro invano. Trascorreranno poi oltre quindici giorni prima dell’arrivo direttamente nel Kerala del sottosegretario italiano agli Esteri Staffan De Mistura, già alto funzionario delle Nazioni Unite, e poi in India del ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata, ma per un viaggio già programmato in precedenza; due visite finalmente di alto livello ma con un’agenda di basso profilo, e senza grandi risultati. Si arriva poi il 7 marzo alla telefonata di Mario Monti al suo omologo indiano Manmohan Singh, del cui contenuto si ha notizia ufficiale solo da parte italiana tra l’altro senza informazione alcuna sulla risposta di Singh alle rimostranze di Monti. Frattanto la “Enrica Lexie”, una nave che stando ferma costa ogni giorno perdite di decine di migliaia di euro al suo armatore, continua a rimanere all’ancora a Kochi, e nessuno ci trova niente da dire. Infine ieri, 9 marzo, giunge la notizia della richiesta da parte del nostro governo dei buoni uffici del servizio diplomatico dell’Unione Europea. E questo è il massimo tenuto conto dei rapporti tradizionalmente più che gelidi tra tale servizio e la Farnesina. Di solito i nostri ambasciatori se appena possono guardano i diplomatici dell’Unione Europea senza vederli, non li invitano nemmeno ai loro cocktail. Che adesso li chiamino in aiuto è segno che si sentono davvero in fondo al pozzo.
Stando così le cose non resta infine che domandarsi, sperando che qualcuno ci risponda: che cosa (a parte il petrolio) ha a bordo la “Enrica Lexie”? Dove mai stava andando?
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