La sera a Parigi è introversa e renitente. Il cielo s’è chiuso in se stesso e una pioggerellina impertinente m’infastidisce. Ci siamo dati appuntamento tra amici – un sindacalista, un prete, un deputato ed io – in un bistrot vicino a Saint Sulpice per alimentare, tra un boccone di choucroute ed un bicchiere di Sylvaner, oltre il corpo, anche l’antica amicizia e ripensare il celere andamento delle giornate convulse che Parigi sta vivendo.
Chiedo a Thierry:” Ma questa massa di gilet gialli da chi è formata? Da chi è diretta? Che cosa chiedono?”
Thierry, un sindacalista che ha vissuto la sua giovinezza nella J.O.C. (Jeunesse Ouvrière Catholique), non esita: “Questo movimento non appartiene a nessuno ed è di tutti. È l’espressione di un popolo che, dopo quarant’anni, si vede spogliato di tutto ciò che gli permetteva di guardare al futuro con speranza.”
“Come al solito, anche tu hai detto tutto e niente!” – lo rimbecco.
“No, sei tu che credi che la Francia sia quella di quaranta anni fa. La rabbia esplosa dalla tassa sui carburanti è stata solo la scintilla che ha incendiato un malessere generale sia politico che sociale. I movimenti che uniscono la gente non organizzata in un partito o in un sindacato favoriscono una aggregazione accelerata al punto che si scopre depauperata del suo avvenire dopo solo un anno e mezzo dall’ aver riposto la fiducia in un uomo che ha spazzato via i due maggiori partiti.”
Interviene Ghislain, deputato “républiquen” (destra):” L’avevamo sempre proclamato durante l’ultima campagna elettorale. Prima di creare un grande “rassémblement” occorreva avere una visione politica ben precisa con indirizzi chiari in materia di economia e di stato sociale. Invece, i francesi, per fuggire al pericolo della destra estrema, hanno preferito incoronare Emmanuel Macron sullo sfondo dell’ ”Inno alla gioia” al Louvre e definirlo “europeo convinto” dopo il suo discorso agli studenti della Sorbona. Ora la rabbia lo sta per inghiottire. Il bambino prodigio si è dimostrato troppo fiducioso nelle sue intuizioni e troppo ingenuo sulla condizione economica della Repubblica.”
Lo arresta Thierry:” Eh, no! Alle vecchie collere – la soppressione della progressività della fiscalità sui capitali, l’eliminazione delle imposte sui bene mobili e la diminuzione del potere d’acquisto dei pensionati, volute dal tuo Sarkozy – se ne stanno aggiungendo delle nuove: le banche che praticano lo strozzinaggio, le donne divise o divorziate che non percepiscono gli alimenti da parte del loro compagno, che spesso è più povero di loro, le giovani coppie costrette a coabitare coi genitori perché non possono pagare un affitto, i reparti di maternità che chiudono a causa del calo demografico, i negozi che spariscono, mentre Amazon installa dappertutto i suoi capannoni… Sono le nuove povertà che si associano alle classi medie che invadono il sabato mattina i Capi Elisi! Questa rabbia è causata da Macron!”
“Capisco: – intervengo io – i gilet gialli sono i rappresentanti di una collera che unisce le fasce deboli della società, ma non hanno un’etichetta politica. Non sono né di destra né di sinistra. Sono tutti uniti “contro” il sistema, ma non sanno proporre alternative. Non hanno proposte politiche né si possono inquadrare come movimento. A me sembrano pericolose per la democrazia!”
“Bravò! – aggiunge Ghislain – la crisi è sistemica, ma solo la politica la può sconfiggere. E politica vuol dire partiti che abbiano idee coerenti tra di esse in economia, in politica sociale, nei servizi, nella fiscalità. Lo stato qui da noi nelle sue istituzioni c’è, ma mancano i veri leader che le facciano funzionare. E tu, Père Dominique, non ti devi accontentare di benedire con l’acqua santa i luoghi attorno a Place de l’Etoile….”
Dominique, il prete che finora se ne era rimasto zitto, lo interrompe piuttosto piccato: “Sì, l’8 dicembre, quando la tensione saliva, con un mio confratello, indossata la tonaca per renderci visibili e non certo per essere segnati come tradizionalisti o integralisti, accompagnati da due laici, siamo scesi in mezzo ai manifestanti e alla polizia, per scambiare due parole con loro, rendendo così visibile la presenza della Chiesa in mezzo a loro. Alcuni ci hanno chiesto di benedirli e l’abbiamo fatto. La gente ci veniva a cercare, ci parlava della sua vita, della sua difficoltà, anche della sua solidarietà con coloro che soffrono. Noi parlavamo loro di giustizia e di pace. Una pace senza giustizia è la pentola che un giorno esploderà. Una giustizia ottenuta con la violenza creata dall’ingiustizia è una bolgia infernale.”
“È quello che ci insegna Papa Francesco – interviene il sindacalista. “È l’unico leader mondiale che ormai denuncia lo scandaloso scarto tra i grandi salari e quelli più bassi, il potere d’acquisto sempre più debole, il lavoro non ricompensato da un giusto salario, del profitto ottenuto con la vendita delle armi, con i traffici di droga, dalle lobby farmaceutiche, dal potere smisurato dell’industria agro-alimentare… Senza parlare dei nostri politici che passano indifferentemente dal paternalismo all’autoritarismo, dal moralismo al giovanilismo…”
La cena sta per terminare. P. Dominique si offre di accompagnarmi in albergo e ne approfitta per continuare la conversazione. Mi dice come, tra gli assordanti botti, i lacrimogeni, in mezzo al panico, alla caccia degli uomini, egli e i suoi amici hanno trovato il tempo anche per pregare. La mattina era cominciata con l’Eucarestia celebrata nella chiesa dell’Immacolata, nel giorno in cui si faceva memoria di questo mistero, e che la sera si erano ritrovati in un’altra chiesa per chiedere al Signore che l’Amore possa trionfare in Francia e per renderGli grazie per averli resi testimoni di fraternità in mezzo agli uomini.
Prima di addormentarmi, prendo la Bibbia inter-confessionale che ormai si trova in tutti gli alberghi di Francia. Apro a caso e leggo Isaia: “Ah, se tu aprissi i cieli, se Tu discendessi…”. Ormai solo Dio potrà salvarci.
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