Europeisti contro sovranisti. Si avvicina la sfida del 26 maggio che rinnoverà il Parlamento di Strasburgo, l’unica istituzione europea i cui membri sono eletti direttamente dai cittadini. Gli “eserciti” prendono posizione e il M5S si schiera a sorpresa con i gilet gialli che incendiano Parigi (cinquemila fermati, 150 finiti in carcere) e che, se esistesse ancora la Bastiglia, la prenderebbero d’assalto come ai tempi di Luigi XVI. Di Maio carica le sue parole a pallettoni: “Dal 1945 la Francia sfrutta decine di Stati africani stampando e facendo circolare una propria moneta, il franco delle colonie, con cui finanzia il proprio debito pubblico – attacca – L’Unione europea dovrebbe sanzionare Parigi”. Una frase che cancella decenni di buon vicinato e riporta l’Italia indietro nella storia, quando la Francia era un nemico.
Non contento, il vicepremier tesse la tela con minuscoli partiti emergenti in Europa per riuscire a comporre un gruppo elettorale autonomo. Stringe accordi con il polacco Pawel Kukiz, un ex cantante rock-punk ultranazionalista; con Ivan Vilibor Sincic, leader del partito populista croato Živizid che si batte in patria per nazionalizzare le banche; e con Karolina Kähönen, finlandese, cofondatrice di un partito che non ha mai partecipato alle elezioni. Parola d’ordine cambiare faccia all’Europa. In quale direzione? Nessuno lo sa. L’impressione è che si faccia un po’ troppo in fretta a buttare alle ortiche decenni di faticoso lavoro diplomatico che ha garantito settant’anni di pace in Europa. I nuovi euro-demolitori vogliono cambiare tutto e subito, costi quel che costi.
Dove porta questa politica iperaggressiva? Molti la vedono come un salto nel buio per il vecchio continente in un momento particolarmente delicato. Il presidente americano Trump pensa di smarcarsi dalla Nato (l’organizzazione per la collaborazione della difesa) e il leader russo Putin, sornione, fiuta il vento favorevole ad instaurare nuovi equilibri geopolitici. Sul fronte opposto le difficoltà che la premier britannica Theresa May incontra per regolamentare la Brexit danno fiato e speranze alla folta parte del popolo inglese che sconfessa il referendum del 2016 e vorrebbe ritornare in Europa. Come gli studenti dell’università di Oxford che hanno sonoramente contestano Beppe Grillo.
La Lega si prepara al voto cercando adesioni fra le minoranze sovraniste in tutta Europa e incassa un regalo insperato, l’autocritica del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che ha ammesso l’eccessiva severità usata con la Grecia, strozzata dal debito pubblico. Anche Salvini punta a ottenere la maggioranza dei seggi a Strasburgo spezzando l’asse dei partiti che hanno imposto l’austerity. E per raggiungere l’obiettivo di un’internazionale sovranista non guarda in faccia a nessuno. Il primo alleato è il presidente nazionalista polacco Jaroslaw Kaczynski, il cui governo è deferito alla Corte di giustizia europea per comportamenti illiberali. “Ogni Paese è libero di farsi le proprie riforme”, lo assolve Salvini che invece attacca il Fondo monetario che taglia le stile sul Pil: “L’Italia è un freno per la crescita economica? Il vero pericolo siete voi”.
Toni accesi, minacce, aria di rivolta. Salvini cerca rinforzi tra le destre francesi, austriache, tedesche, olandesi, spagnole e ungheresi. Il leader leghista non ne fa mistero. Sogna di prendere il posto del presidente Juncker e di mettersi a capo del primo, futuro gruppo del nuovo Europarlamento. Al di là delle colpe della Ue, degli egoismi nazionali sui migranti, delle vere o presunte prevaricazioni della Banca Centrale Europea che intima agli istituti di azzerare tutti i crediti deteriorati in tempi brevi e degli sprechi burocratici di cui la incolpa il M5S (troppe due sedi, Bruxelles e Strasburgo), la vecchia Europa nata nel dopoguerra dalla collaborazione dei migliori cervelli pensa di difendersi con un’idea suggestiva.
Dopo il voto di maggio per l’Europarlamento cambieranno i vertici di altre due fondamentali istituzioni dell’Unione, la Commissione il cui presidente sarà scelto dai capi di Stato e di governo (tenendo conto dei risultati del voto europeo) e la Banca Centrale, dove in ottobre andrà a scadenza il mandato di Mario Draghi. L’idea suggestiva è puntare sulla cancelliera tedesca Angela Merkel per la presidenza della Commissione europea. “Quali che siano i risultati del voto di maggio – osserva Ricardo Franco Levi sul Corriere della Sera – nel gioco complesso che vedrà protagonisti un numero così alto di Paesi, governi, schieramenti politici e aspirazioni personali restano elevate le probabilità che le scelte alle quali infine si arriverà siano nel segno di una sostanziale continuità. Con la propria personalità, la notorietà conquistata in tanti anni alla guida del più potente tra gli Stati europei, non da ultimo per l’essere donna, la Merkel darebbe immediatamente un volto all’Europa”.
Intanto in Italia il centrosinistra pensa a una lista unitaria, europeista e ambientalista, che riunisca politici, amministratori e imprenditori che non si riconoscono nei nazionalismi. Il listone promosso dall’ex ministro renziano Carlo Calenda (con la benedizione di Romano Prodi) ha subito arruolato i sindaci Sala, Pizzarotti, Chiamparino e Nardella, i politici Gentiloni, Martina, Boldrini, Zingaretti, Pisapia e probabilmente aderirà anche Emma Bonino. Quarantamila adesioni in poche ore, una partenza a tutto gas. Gli avversari sono avvertiti.
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