Correva l’anno 1948, così potrebbe incominciare la storia del Parco e della Villa Mirabello acquistata dal Comune. Varese risentiva ancora dei molti guai lasciati dalla guerra, guai non solo politici e morali ma anche della sua struttura civica. Si risentivano anni di abbandono di ogni manutenzione. I grandi viali di accesso al centro erano stati da poco risistemati alla buona, non sapevano più cosa fosse l’asfalto e le buche la facevano da padrone. Così le vie del centro: i begli acciottolati di alcune strade storiche erano ammalorati e da riparare (peccato che così non fu e vennero tutte ricoperti di catrame !) E i marciapiedi? E l’illuminazione? Nei primi due anni dell’amministrazione democratica parecchio era stato fatto, ma ancora molto rimaneva da fare. I soldi erano sempre scarsi. E l’edilizia? Poche le iniziative private e nulle quelle pubbliche per creare nuovi alloggi sempre più richiesti dai giovani che erano tornati dalla guerra e costituivano nuove famiglie.
Era questa l’aria che tirava in città quando un mattino di aprile l’assessore alle Finanze Lanciotto Gigli portò in Giunta Comunale, presieduta dal sindaco socialista Luigi Cova, una notizia bomba: il Parco e la Villa Mirabello, nel cuore della città, stavano per essere vendute. La soffiata era giunta al ragionier Gigli da un collega di Milano. Non si trattava di un semplice trasferimento dai proprietari, eredi del marchese Gaetano Litta-Modignani, a qualche altro nobile milanese o facoltoso varesino. Lo scopo appariva ben altro. E lo paventò immediatamente l’assessore ai lavori pubblici ingegner Camillo Lucchina, il valoroso Sant’Antonio della Resistenza varesina e poi presidente del Comitato Nazionale di Liberazione (C.L.N.), al quale doveva essere corso una brivido lungo la schiena. Il Comune non era in grado di stabilire vincoli legali ad una eventuale lottizzazione della proprietà e conseguente edificazione di pregiate residenze in un parco con un panorama da favola sul lago e sul Monte Rosa. Infatti quella proprietà era compresa in quella striscia di territorio “che parte dal colle di S. Albino e per le colline di Bosto e Casbeno si congiunge con Masnago”.
Nessuno nella Giunta, e tantomeno tra i partiti della maggioranza, che avesse dubbi sull’opportunità di acquisire al Comune una tale proprietà. Anche pensando ai numerosi locali della villa e della dipendenza che in futuro avrebbero potuto ospitare museo, biblioteca od altri uffici comunali. La remora era se mai rappresentata dal solito motivo: i soldi. Dove andare a prenderli? Indebitare il Comune per una operazione che poteva apparire (e certo lo era) incongrua rispetto ai tanti bisogni più urgenti della città? Quando mai un padre di famiglia porta a casa ai figli, che lo attendono nel bisogno, anziché pane e companatico un bel quadro d’autore? Non poteva apparire qualcosa di simile? Un dubbio questo che aleggiava, appena trapelata la notizia, anche tra i partiti della maggioranza comunale. Era facilmente immaginabile come tale scelta della Giunta sarebbe stata cavalcata dalla minoranza consigliare numerosa ed agguerrita. Cosa che infatti puntualmente avvenne con lettere di cittadini apparse su un settimanale del partito d’opposizione. Nessuno poi dimenticava la estrema fragilità della Giunta che poteva contare sui ventuno voti del PSI, del PCI, del Partito d’azione e di un indipendente avendo davanti la robustissima opposizione di ben diciannove consiglieri della DC .
Nonostante tutto la Giunta decise di giocarsi la partita dando l’incarico di condurla agli assessori Gigli, per la parte finanziaria, e Lucchina per la parte tecnica. Fu una corsa contro il tempo perché il Comune ottenne dalla proprietà, per deliberare, solo una breve opzione di un mese prorogata poi di qualche giorno. L’onere e l’impegno maggiore della complessa trattativa caddero sul ragionier Lanciotto Gigli e sull’architetto Guglielmo Mozzoni, reso arbitro di definire prezzo e condizioni dal comproprietario dottor Enrico Litta. Oltre alla professionalità, alla tenacia e all’intimo convincimento di fare un bel regalo alla città, cose tutte espletate da Gigli, va ricordata alla fine la disponibilità del dottor Litta, che agiva in nome e per conto di un numeroso stuolo di coeredi : altri due fratelli e ben cinque sorelle, l’interesse dei quali non poteva tralasciare. Il Litta infatti così scrisse al Mozzoni : “L’uso al quale la Villa sarà destinata dal Comune di Varese mi spinge a preferire questo, per ovvie ragioni di carattere sentimentale, a qualunque altro interessato…”. Evidentemente quelle ragioni di carattere sentimentale si riferivano alla conservazione del complesso Villa-parco che l’aspirante acquirente privato non avrebbe certamente garantito.
Si giunse cosi alla decisiva seduta del Consiglio del 18 maggio, pochi giorni prima della scadenza dell’opzione fissata il 24 successivo. L’ingegner Lucchina illustrò nei dettagli i beni che il Comune si proponeva di acquistare: un vasto parco e giardino con una superficie catastale di 35.450 mq. in cui si trovavano una villa a tre piani di 76 locali, un fabbricato a due piani di 18 locali adibito a portineria, rimesse e scuderie, una torre rustica e serre a due piani. Non mancava di prospettare le possibili destinazioni dei locali e le funzioni integrative a quelle del confinante giardino Estense. E anche alati pensieri rivolti ai turisti e ai cittadini tutti. “Non si deve poi trascurare – aggiungeva l’assessore – che la città di Varese quale stazione di soggiorno e cura ha bisogno di confortare con le sue bellezze i numerosi ospiti. Dal punto di vista sociale inoltre è sempre cosa encomiabile che il Comune possa mettere a disposizione della cittadinanza, ed in modo particolare dei meno abbienti, parchi e giardini in cui possano ritrovare, nella bellezza del luogo, salutare riposo dopo il lavoro e ricreazione dello spirito”.
Le parole più attese erano comunque quelle del comunista Gigli. Costui, come assessore alle Finanze, doveva illustrare appunto come si sarebbe andati a trovare i soldi per l’operazione. Il ragioniere, dopo aver accennato alle varie fasi della trattativa e ringraziato gli Uffici Comunali per l’impegno e la sollecitudine profuse, tranquillizzò subito i presenti : i cinquantacinque milioni per l’acquisto della villa e del parco, più altri otto per costi accessori contrattuali, sarebbero stati affrontati coi “mezzi ordinari di bilancio senza creare mutui.” Il pagamento si sarebbe effettuato in due esercizi : ben trentotto milioni a carico dell’esercizio in corso facendovi fronte con maggiori entrate. I rimanenti cinque milioni sarebbero andati a carico del 1949 con versamenti rateizzati mensilmente. Un vero capolavoro di ingegneria di bilancio, non solo di “estetica”. E anche Gigli concludeva quasi commosso il suo intervento: “Con l’acquisto si dimostra infine di avere gli occhi innanzi nella visione di una più grande Varese, sempre più bella, più importante, più desiderata dai vicini milanesi”.
Dopo una breve discussione tutti i trentadue consiglieri presenti, di ogni gruppo politico, approvarono la proposta d’acquisto. Una unanimità che faceva onore alla città, anche se è presumibile che tra i pochi assenti qualche indeciso o contrario vi fosse ancora. Tanto che qualche polemica si protrasse anche successivamente. Per tutte una lettera critica che, dopo avere elencato parecchie prioritarie esigenze cittadine, così concludeva: “O che i nostri rappresentanti (tutti) del Comune non hanno voluto ragionare o che l’assessore alle finanze è troppo ragioniere. Queste sono domande fattemi, ed io chiedo a “La Voce delle Prealpi” il coraggio civico di pubblicarle. Firmato UN VARESINO”. Una preoccupazione abbastanza infondata perché il Comune non dimenticava altri problemi. Lo conferma il fatto che nella stessa seduta dedicata a Villa Mirabello il Consiglio approvò la costruzione (questa sì finanziata con un mutuo e col contributo dello Stato) di ben cinquecento vani di abitazione popolare (centoventotto appartamenti – Quartiere Isolabella )
Con l’acquisto del parco e della Villa Mirabello la prima “Giunta Rossa” sarà poi ricordata come la prima “Giunta Verde”. Nessuna amministrazione Comunale dopo quella, pur in anni di economiche vacche grasse, ha trovato i soldi o il modo di acquisire la centrale Villa con parco Baroggi. Per intenderci quella con la magnifica magnolia, delimitata dalla vie Verdi, Sanvito e viale 25 aprile. Un altro gioiello da collegare ai Giardini Estensi. A quando un altro ragioniere Lanciotto Gigli?
P.S. Lanciotto Gigli è rimasto in Consiglio Comunale fino all’età di ottantaquattro anni. È mancato ad ottantotto anni, esercitando ancora la professione e l’incarico di Censore della Banca d’Italia. Era stato tra i rifondatori della vecchia Società Varesina per la Cremazione. L’urna con le sue ceneri è custodita nella cappella della famiglia Curti nel cimitero di Gemonio.
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