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Storia

OLTRETEVERE

SERGIO REDAELLI - 18/01/2019

oltretevereIl palazzo del Quirinale è il simbolo dei rapporti di amicizia che da molti decenni legano lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Adagiato sul più alto dei sette colli di Roma, fu residenza estiva dei papi dal ‘500 in poi (vi hanno abitato trenta pontefici, ultimo dei quali Pio IX) prima che i Savoia lo occupassero simbolicamente nel 1870. Dal 1948 è la sede ufficiale del presidente della Repubblica e rappresenta plasticamente la storia delle relazioni istituzionali e personali intercorse tra i dodici capi di Stato e i sette pontefici che si sono succeduti dalla nascita della Repubblica ad oggi, vale a dire dal referendum del 2-3 giugno 1946 che sancì la fine della monarchia.

Il Quirinale e il Vaticano sono i due centri di potere, quello secolare e quello spirituale, metaforicamente divisi dal fiume Tevere che Giovanni Spadolini auspicava “più largo” per distinguere nettamente la Roma vaticana e la Roma italiana. Tra loro, nel corso della storia, le relazioni non sono sempre state idilliache. Luigi Settembrini sognava che l’Italia “si spapizzasse” e Francesco Crispi non credeva possibile che il Regno e la Chiesa potessero convivere. Nel suo intervento al Parlamento il 17 novembre 1864 scandiva: “Bisogna che il pontefice romano sia principe e signore a casa sua, a nessuno secondo. E d’altra parte il re d’Italia non può sedere accanto a un monarca a lui superiore”.

I rapporti entrarono in sintonia grazie ai Patti Lateranensi siglati l’11 febbraio 1929 che diedero riconoscimento internazionale alla Santa Sede con la creazione del piccolo Stato del Vaticano, e migliorarono ulteriormente con la nascita della Repubblica. Lo racconta con dovizia di particolari il libro “Oltretevere” di Alessandro Acciavatti (Edizioni Piemme, 573 pagine, 24 €) che ricostruisce legami e corrispondenze tra le due sponde del fiume dal 1946 a oggi. A cominciare dall’acceso dibattito che infiammò il Parlamento sull’opportunità di citare il Concordato nell’articolo 7 della Costituzione con interventi di De Gasperi, Dossetti, Nenni e Togliatti, ciascuno preoccupato di non concedere vantaggi elettorali agli avversari.

Sullo sfondo si allunga l’austera figura di Pio XII che considerava irrinunciabile la citazione dei Patti Lateranensi nella carta costituzionale. L’ombra di papa Pacelli incombe anche sulle questioni procedurali che riguardano la transizione dello Stato italiano dalla Monarchia alla Repubblica dopo il referendum del 1946 che provocò l’esilio del re Umberto II. E aleggia sui rapporti della Santa Sede con la neonata Repubblica nel timore che i patti siglati dal Vaticano con Benito Mussolini non siano rispettati. Lo dimostrano gli apprensivi colloqui che Pio XII ebbe con il presidente del consiglio dei ministri Alcide De Gasperi e con Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato.

 Il 15 dicembre 1948 si tenne la prima visita ufficiale in Vaticano di un presidente della repubblica, Luigi Einaudi, nei mesi difficili che seguirono l’attentato al leader comunista Palmiro Togliatti avvenuto il 14 luglio 1948. Einaudi, austero economista ed ex ministro del bilancio nel governo De Gasperi, era di fede monarchica. Prima del referendum del 2 e 3 giugno 1946 aveva rilasciato una clamorosa intervista dichiarando che avrebbe votato per il re. Fu eletto l’11 maggio 1948 pochi giorni dopo la schiacciante vittoria ottenuta dal partito cattolico, sostenuto dalla Santa Sede e dall’America, nei confronti del temutissimo Fronte Popolare alla consultazione del 18 aprile 1948.

Giovanni Gronchi è il primo presidente che sceglie di non abitare in una sede istituzionale e rimane a vivere nel suo attico del quartiere Nomentano. È un esponente della sinistra democristiana e alla morte di Pio XII saluta con calore l’elezione dell’anziano patriarca di Venezia Angelo Roncalli, papa Giovanni XXIII, che promuoverà il concilio ecumenico Vaticano II coinvolgendo i vescovi nella gestione della Chiesa. Il 6 maggio 1962 viene eletto il presidente sardo Antonio Segni, giurista finissimo e fervente cattolico e Giovanni XXIII annota nel suo diario: “Il papa fa il papa e non permette che gli si possa attribuire qualunque inframittenza indebita nel governo civile d’Italia”. Come qualcuno, evidentemente, gli chiedeva di fare.

Cordiali rapporti intrattengono papa Roncalli e Giuseppe Saragat, primo presidente socialista dichiaratamente ateo, così come il presidente Giovanni Leone e Paolo VI che si ritrovano il 13 maggio 1978 nella basilica di S. Pietro per gli onori funebri ad Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. Papa Montini considerava la fine del potere temporale un evento provvidenziale e quando si recò in visita al Quirinale pronunciò queste bellissime parole: “Vogliamo bene, un bene tutto spirituale, tutto pastorale, oltre che naturale, a questo magnifico e travagliato Paese…”.

La Chiesa sciolta dagli interessi temporali ha il volto di Paolo VI che parla all’assemblea dell’Onu. Non è più una parte fra le parti ma opera a servizio di tutti, è un patrimonio universale, raggiunge ogni angolo del mondo, predica giustizia, uguaglianza tra i popoli e dialogo tra le religioni. Nel 1978 il presidente Sandro Pertini affronta “l’anno dei tre papi”. Muore Paolo VI, viene eletto Giovanni Paolo I che regna trentatré giorni e gli succede al soglio Giovanni Paolo II. Il rapporto del “presidente partigiano” con Woytjla è talmente stretto che Pertini andrà a trovarlo quattro volte in clinica quando il papa subirà l’attentato nel 1981.

Il pontefice polacco ricambierà la visita all’amico ricoverato in ospedale quando Pertini non era più presidente. Ecco ancora gli incontri fra Woytjla e i presidenti Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro (ai tempi di Tangentopoli) e Carlo Azeglio Ciampi. E i convegni tra il presidente Giorgio Napolitano e Benedetto XVI uniti dal comune amore per la musica, con i concerti che annualmente il presidente offriva al papa e quello di Castel Gandolfo a cui Ratzinger invitò il primo capo di Stato comunista. In altra occasione Napolitano fece dono al papa tedesco della preziosa prima edizione illustrata de “I Promessi Sposi” risalente al 1840. Il libro, con prefazione di Paolo Mieli e postfazione di Giuliano Amato, dedica l’ultimo capitolo alle riunioni tra papa Francesco e il presidente Sergio Mattarella.

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