(S) Non si può dire che la tua invocazione ‘Basta quisquiliate’ sia stata presa sul serio. Abbiamo visto crescere di giorno in giorno l’uso dell’enfasi, dell’esagerazione, la creazione di teatrini da sceneggiata napoletana per proporre al pubblico cose molto serie come la cattura di un terrorista; tutti questi eccessi non vi hanno stancato?
(C) Partiamo, così per ridere, dall’ultima ‘quisquiliata’ della volta scorsa, limitare il dominio della Juventus, mission impossibile. Avete visto come è andata a finire la supercoppa e pure la faccenda Higuain: inutile tentare di lottare con armi vecchie contro una realtà nuova che usa armi contro cui non hai difesa: o hai un Ronaldo o non ce l’hai; il tuo ammirevole sforzo s’infrange contro i centimetri del legno di una traversa, contro l’attimo del fuorigioco o del riflesso del portiere.
Ad ancor maggior ragione queste considerazioni valgono, fuor di metafora, per i grandi temi della politica e dell’economia: o trascini grandi masse verso il cambiamento che vorresti o ne sei trascinato: in questo secondo caso a qualsiasi politico conviene che cavalchi l’onda, come facendo surf, senza pretendere d’indirizzarla. È ovvio, poi che ciascuno si sceglie la sua, ma accade che, nella enfasi della comunicazione politica, un giusto bisogno di sicurezza fisica diventa tutela dell’eccesso di legittima difesa, l’aiuto ai veri poveri diventa il reddito garantito o la pensione rivalutata, la cura per l’ambiente sano si riduce al praticello vicino casa al posto della ferrovia internazionale.
(O) Il mio pensiero dominante, invece, vira verso il positivo: mi sono ormai convinto che la nuova politica è totalmente determinata da modalità di comunicazione sconosciute anche al recente passato, che esigono capacità e strumenti diversi, ma non sono di per sé negative, almeno non più dell’oratoria infuocata dei comizi di tanti anni fa; non parlo solo dei dittatori nazi-fascisti, ma pure dei capetti delle assemblee studentesche del ’68 e dintorni. Poi sono venuti gli imbonitori televisivi, venditori di pentole o di promesse elettorali, poi ancora i twittatori d’odio, capaci di raccogliere manciate di like con un insulto ben caratterizzato, Ma non sono i nuovi strumenti di comunicazione in quanto tali che devono essere banditi, sono i contenuti, così facilmente diffusi, che si rivelano menzogneri o almeno inadeguati. Quindi la risposta è semplice: chi ritiene di avere contenuti veri, migliori e competenti, deve imparare a comunicarli secondo le capacità degli uditori e con mezzi e modalità ad essi adeguati.
(S) Figurati, Onirio, se non sono d’accordo, ma il senso della mia domanda è proprio in questa direzione: le esagerazioni non stancano? La psicologia sociale lo chiama ‘effetto sovraesposizione’, lo subiscono i divi, lo conosce la pubblicità, attenta a variare gli slogan a ad adattarli ai diversi contesti, perché non dovrebbe colpire i politici attuali? In passato, quanti non ne sono stati travolti? Lasciamo stare gli imperatori romani e i grandi trascinatori di folle, Giulio Cesare o Robespierre, basta guardare nel passato prossimo, Craxi e Andreotti, Berlusconi e Renzi: la sovraesposizione mediatica magari non ha causato loro un danno diretto, ma ha moltiplicato il costo degli errori, delle scelte concrete che comunque hanno penalizzato le aspettative di una parte del popolo, e ha fatto crescere l’inevitabile invidia sociale.
(C) Conosco l’effetto che dici, Sebastiano; tutte le mode passano tanto più velocemente quanto più improvviso e infondato è stato il loro successo: l’hula-hop e la minigonna, il fungo cinese (nemmeno sapete che cos’era) e i flipper, il cubo di Rubik e il tamaguchi. Ma in politica, oggi, temo sia un po’ diverso. Rinunciare ad un uso ‘intelligente’ della democrazia porta a fare danni irreparabili alla comunità nelle sue articolazioni civili, sociali e anche personali. Ne subiscono danni la civiltà giuridica che ondeggia tra repressione esagerata e tolleranza dell’interesse particolare; la socialità, perché fa diminuire la stima per il lavoro e la solidarietà e ribalta ogni compito sulle spalle dello Stato; perfino ogni singola persona non diventerà più felice se affiderà la sua ricerca di felicità alla promessa di soddisfazioni materiali non guadagnate o, peggio, al vedere la rovina del ‘nemico’, non importa che sia nazionale, economico, religioso, di classe sociale, di colore della pelle o di qualsiasi altra differenziazione. Dunque l’unico rimedio è l’educazione, che per i giovani si fa a scuola e per gli adulti si chiama dialogo e si fa dovunque e in molti modi.
Per fare un esempio, ovviamente paradossale, voglio sostenere apertamente la tesi che andare a giocare la supercoppa calcistica Gedda, nella retriva, chiusa e imperialista Arabia Saudita sia stata un ottima scelta. Si dice che si è fatto un regalo alla propaganda saudita, consentendole di apparire di fronte al mondo come sulla strada delle riforme e dell’apertura alle esigenze della vita civile all’occidentale. Questo ha portato i caporali di giornata della caserma ‘Politicamente Corretta’, giornalisti dell’Usigrai compresi, a protestare davanti alla ambasciata saudita e ad accusare il governo e i dirigenti del calcio italiano di nefandezze umanitarie. Dovremmo invece tutti ringraziare, sia perché si è data, in particolare proprio ai giornalisti della Rai, l’occasione di parlare di tutto quello che non va da quelle parti, sia, soprattutto, perché una immedesimazione di massa in un avvenimento di risonanza internazionale porta a evidenziare costumi differenti, a mostrarli come accettabili, a fare riflettere se certi comandi siano veramente di origine divina o non siano soltanto cristallizzazioni di condizioni sociali contingenti. Sono convinto che voler apparire diversi agli occhi dei non musulmani finirà anche per far diventare diversi.
(O) Vedi un fenomeno che i filosofi morali chiamano ‘eterogenesi dei fini’?
(C) Non andiamo sul difficile, anche se potrei dire di sì. Ma la chiamerei semplicemente la forza del dialogo, che non è necessariamente negoziazione, come ha ricordato Papa Francesco nel recente messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Basta il dialogo, che può avvenire non solo a parole, ma anche con gesti apparentemente poco rilevanti, ma che mettono le persone fianco a fianco, superando la paura del diverso ed aiutando a non cadere nel disprezzo per la diversità delle abitudini altrui.
(S) Rischio in buona parte corso proprio da chi ha voluto rimarcare le ragioni di critica verso il regime saudita. Un esempio di voler lottare con armi vecchie, buone ad affermare solo il proprio giudizio, ma non a smuovere quello della gente. Per tornare al tema principale, mi convinco anch’io che non basta aspettare la fine di questa moda della democrazia in pochi click. Ti suggerisco di riprendere, la prossima volta, sia il messaggio del Papa per la Giornata della Pace, sia l’introduzione del cardinale Bassetti alla Conferenza Episcopale. Mi pare che ci sia qualche accento nuovo, che ci possa aiutare a non ridurre l’esperienza politica dei cristiani ad un ibrido di moralismo, metà biologico e metà pauperistico.
(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti
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