Il giorno di Santo Stefano si è spento nella sua casa di Varengeville sur Mer, in Normandia, il pittore, scrittore e compositore francese Michel Ciry, giunto ormai alla soglia dei cento anni. In Italia ne ha dato notizia Maurizio Cecchetto in un ampia pagina su Avvenire, in cui ha messo in risalto la sua appassionata ricerca artistica, tutta centrata sul tema dell’uomo che cerca il volto di Dio.
Personaggio d’altri tempi, schivo e riservato, era delicato e attento all’amicizia e nello stesso tempo schietto e chiaro nei giudizi, mai sfiorati dal rischio di ipocrisia insita nel politicamente corretto. Sin dai suoi soggiorni ad Assisi negli Anni Cinquanta, dominati dal fascino della figura di San Francesco, in Italia era stato molto presente con mostre in gallerie e in sedi prestigiose, a Torino, a Milano a Brescia, a Rimini, a Teramo e a Trieste… Ma un rapporto speciale lo legava a Varese, grazie all’amicizia con mio padre Piero Viotto. Nel 1987 venne a presentare una sua mostra in battistero, inaugurata da Monsignor Citterio, e con la semplicità che lo caratterizzava, così spontanea in lui e così rara in un uomo che aveva frequentato personaggi del calibro di Jean Cocteau o Luigi Dallapiccola, si offrì per due ore di incontro-dibattito con gli studenti del Liceo Manzoni.
Di quella memorabile mattinata, diede resoconto nel diciannovesimo volume del suo monumentale Journal, il diario che lo accompagnò per tutta la vita, intitolato Brisons nos fers. In quell’aula magna affollata e un po’ caotica, in quell’ambiente da assemblea scolastica così diverso dalla felpata atmosfera delle sedi accademiche, avvenne il miracolo colmo di rispetto reciproco del dialogo tra un intellettuale raffinato ormai settantenne, credente tormentato ma nello stesso tempo limpidamente convinto, e un gruppo di diciottenni alle soglie della vita, segnati dalla cultura del loro tempo ma curiosi, aperti e desiderosi di confrontarsi.
Messi rapidamente da parte un paio di oratori in erba ideologizzati, legati a un discorso preconfezionato, gli studenti, e soprattutto le ragazze, “erano decise a non accontentarsi di mezze risposte che non avrebbero risolto le questioni sollevate nel momento in cui mi avevano interrogato con la massima serietà” e così, anche se alcune domande erano profondamente personali, l’artista le affrontò tutte senza timore di mettersi a nudo. Non so quanti ricordino l’episodio, in cui ebbi il piacere di fare da interprete, ma quelle ore mi rimangono nella memoria come un grande momento di scuola, cioè di incontro tra persone disposte a darsi credito al di là di ogni differenza, di ascoltarsi a partire dalla comune umanità.
A più di trent’anni di distanza restano poi interessantissimi nel Journal di Ciry i giudizi sulle opere d’arte viste durante il soggiorno a Varese, sempre filtrati attraverso il suo sguardo del tutto particolare, e spesso per noi paradossali. L’apprezzamento per l’ “adorabile primitivismo” del chiostro della Badia di Ganna con i suoi “pilastri di mattoni del colore di albicocche ben mature”, la meraviglia davanti allo spettacolo di Santa Caterina del Sasso o del panorama delle Alpi viste da Villa Cagnola, dove fu accolto da Monsignor Caprioli, contrastano con il giudizio perplesso davanti alle cappelle del Sacro Monte in cui la sua mentalità di uomo cresciuto nel primo Novecento non vede che “inganno” e “illusione”. Allo stesso modo il Santuario gli pare troppo decorato, dorato, affollato di statue, fino agli “angioletti, che sono così tanti che potrebbero riempire interamente una classe di scuola materna” e si intrufolano dappertutto, fino ad intralciare il celebrante sull’altar maggiore… Mentre non manca di ammirare il Battistero “di un’austerità architettonica che è essa stessa preghiera, tanto da facilitare l’approccio mistico alle anime semplici come me”.
Ma il passaggio più interessante riguarda le parole ammirate per la Via Crucis in terracotta della cappella di Villa Cagnola, “capaci di colpire l’artista e nello stesso tempo di sconvolgere il cristiano” unendo l’abilità artistica con la comprensione del dramma di Cristo. E ancora, sempre nella collezione Cagnola, il Cristo Deposto del Bergognone, piccolo e solo apparentemente secondario, che irradia “un amore candido” ed esprime una profonda emozione. Il tema della Passione era infatti centrale nell’arte di Ciry: la sofferenza di Cristo per la salvezza del mondo, la sofferenza degli amici e di Maria ai piedi della Croce nell’attesa della Resurrezione che vince la morte.
You must be logged in to post a comment Login