“Finalmente una legge di bilancio fatta dal popolo sovrano e non dettata da Bruxelles” – ha dichiarato il vice-premier Di Maio, tutto esultante, attorniato dai suoi gregari intenti a stringergli la mano, a dargli pacche sulle spalle, mentre il vero protagonista della mezza vittoria, il povero ministro Tria, se ne stava in disparte, ignorato dai più. Il presidente Conte era affannato anche lui nel ricevere complimenti, congratulazioni.
La frase diffusa da Di Maio contiene una verità e una non verità.
È vero che la legge di bilancio appartiene tutta e solo al governo: la striminzita flax tax, voluta dalla Lega, ed il ridotto reddito di cittadinanza, voluto dai 5 stelle, sono finanziati in debito, cioè scaricando il peso del provvedimento su coloro che verranno dopo. La stessa legge non prevede misure sugli investimenti (lavoro, infrastrutture, modernizzazione, rilancio dei consumi). Pronostica, la “manovra del popolo”, una crescita dell’1% del prodotto interno lordo, che peraltro sarà assorbito dall’aumento dello spread e dagli interessi che si dovranno pagare sui debiti. Introduce una tassa su chi fa del bene (che sembra sarà revocata, dopo le innumerevoli proteste!), non ha abolito la povertà ma ridotta l’indicizzazione ai pensionati, sono condonati le tasse agli evasori, ha abbassato l’IVA sui tartufi freschi (se ne sentiva il bisogno!), sono diminuiti i trasferimenti ai comuni (che già navigano in brutte acque!), sono tagliati ingenti fondi alla sanità e alla scuola. Doveva essere la “legge del cambiamento”, ma si presenta maldestra, azzardata, refrattaria al buon senso. Il suo obiettivo è quello di accontentare un po’ tutti e di ottenere il consenso per essere rieletti.
Ma ciò che ci turba di più è l’ “iter”, cioè i passaggi, la strada che ha percorso la legge di bilancio, la più importante del nostro ordinamento. Dopo essere stata approvata dalla Camera, essa è stata sottoposta al vaglio del Senato, che l’ha approvata, ma diversamente da quella approvata dalla Camera senza che la commissione competente ne valutasse il testo. La legge è stata trasmessa a Montecitorio per la seconda lettura e l’approvazione finale. E qui è avvenuto un colpo di mano decisamente antidemocratico: il governo ha posto il voto di fiducia (proprio quello tanto vituperato dall’attuale maggioranza verso i governi precedenti!) su di un maxi emendamento in modo da approvare la legge senza che i deputati ne conoscessero i contenuti. Si può ancora chiamare la nostra repubblica “parlamentare” o il nostro parlamento è privo del suo significato così come prevede la nostra Costituzione?
Ma nella sentenza di Di Maio c’è pure una non verità. È falso che la legge di bilancio sia stata “dettata” da quello che gli euroscettici chiamano Bruxelles.
L’euro (che proprio quest’anno compie vent’anni!) è la moneta di diciannove paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, che ha accettato, come gli altri diciotto, di rispettare alcuni criteri detti di “convergenza” in modo tale da rispettare, tra l’altro, la solidità delle finanze pubbliche che viene valutata con riferimento al deficit che non deve essere superiore del 3% rispetto al prodotto interno lordo, il quale a sua volta non deve essere superiore al 60% dello stesso PIL.
Nel maggio scorso, la Commissione Europea (che, purtroppo, non è il governo dell’Unione, ma solo la guardiana del rispetto delle norme stabilite da tutti i governi dei paesi membri!) ha pubblicato le raccomandazioni specifiche ad ogni stato. I governi hanno discusso queste raccomandazioni il 22 giugno, approvate dal Consiglio Europeo – presente il premier Conte – il 28 giugno, adottate formalmente il 13 luglio e formalizzate il 2 ottobre.
L’Italia si impegnava a rispettare il rapporto deficit-PIL all’1,6% e ad abbassare il debito pubblico.
Ma il governo Conte, alla fine di ottobre, cambiò unilateralmente i valori di bilancio e inviò alla Commissione una nota che smentiva le decisioni prese in precedenza, continuando così l’incresciosa tendenza dei dirigenti nazionali a scaricare sull’UE tutte le responsabilità delle mancate politiche sociali e di crescita dell’Italia: una vera mina posta sotto le fondamenta della comune casa europea! In particolare, il governo italiano pretendeva che il rapporto deficit-PIL salisse al 2,4%. Di Maio apparve sul balcone di Palazzo Chigi e dichiarò che la povertà era stata sconfitta perché il Consiglio dei Ministri aveva deciso di sforare il deficit concordato.
Iniziò uno stremante andirivieni tra Roma – rappresentata dal ministro Tria e dal presidente Conte, che accantonarono i loro due vice masanielli – e alla fine governo italiano e Commissione Europea arrivarono al compromesso di stabilire al 2,04 il rapporto tra deficit/PIL.
La dichiarazione di Di Maio viene così smentita: l’Europa ha posto dei paletti. “Per fortuna!” aggiungo io. Ogni aumento di deficit è, infatti, aumento di debito e il debito si riesce ad avere solo nella misura in cui trovi qualcuno che ti presti i soldi, dietro al pagamento di interessi, che vanno ad aumentare il debito.
In conclusione: l’Unione Europea pone dei vincoli, ma all’interno di questi vincoli sono i singoli stati che impostano le loro politiche! Se non rispettassimo questi vincoli saremmo costretti ad uno scontro frontale con l’UE, alla reazione dura dei mercati che s’ingrassano grazie alle crisi.
C’è un altro motivo di preoccupazione: mentre molti leaders sono convinti che occorra trovare un nuovo modello di Europa unita e solidale, l’Italia, con la sua politica sovranista e confusa, rischia di essere confinata nella zona della solitudine: Europa e sovranismo sono due termini che si escludono reciprocamente!
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