Nel suo intervento del 5 ottobre scorso Ambrogio Vaghi ha commentato in termini per me lusinghieri e per i quali sentitamente lo ringrazio la mia nomina a presidente della Fondazione Molina.
Desidero condividere con i lettori di RMFonline ed anche con gli amici redattori, alcune riflessioni su queste prime settimane di impegno al servizio della Fondazione.
Nel primo incontro che, insieme a tutto il nuovo consiglio di amministrazione, ho avuto con il sindaco Galimberti, monsignor Panighetti, gli assessori Molinari e Civati ed il consigliere Crugnola, all’indomani della nostra nomina, ho detto che il mio operare si sarebbe ispirato all’invito più volte ripetuto da Papa Francesco di “avviare processi e non occupare spazi”.
Da subito ci siamo accorti che i processi da avviare non mancano e che le questioni sul tappeto sono molteplici (tra l’altro abbiamo ereditato anche non pochi processi in corso, ma purtroppo nel senso legale del termine).
Ma con quale spirito affrontare queste sfide ? Con il timore di fare passi falsi o con la presunzione di essere all’altezza? Con titubanza o con disinvoltura?
Mi è venuto in mente l’invito di Gesù ad essere “astuti come serpenti e candidi come colombe” (Matteo 10,16); si tratta di un paradosso praticabile? Il candore deriva dalla retta intenzione: se il fine del nostro operare come consiglio di amministrazione è il bene della Fondazione e quindi il bene dei suoi ospiti e dei suoi operatori, ed allargando il cerchio anche il bene della nostra città e del suo territorio, allora non dobbiamo avere paura, perché appunto c’è un bene da perseguire e tanto da fare. È chiaro però che su questo cammino le insidie non mancano e che ci vuole anche l’astuzia, occorre che il consiglio, così come abbiamo iniziato a fare, eserciti la virtù del discernimento. Si tratta in un certo senso di un’astuzia collegiale, dove le varie professionalità ed i diversi punti di vista si integrano per arrivare a determinazioni ponderate.
D’altra parte è anche vero che per ogni problema sul tappeto qualsiasi soluzione si prenda potrà essere criticata, ma le decisioni vanno prese e le responsabilità assunte, l’importante è che siano esplicitate le motivazioni.
Ciò che si deve evitare è l’immobilismo; altrimenti si saremo criticati, non dagli uomini ma dal Signore, come quel servo della parabola (Matteo 25, 14-30) che pensa di cavarsela dicendo al padrone: “per paura andai a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco qui il tuo”.
Nella nostra povera Italia molti processi non vengono avviati, perché chi avrebbe il potere di farlo, sotterra il suo talento sotto un cumulo di regole e leggi ed ha come preoccupazione predominante quella di essere inappuntabile e così tanti problemi rimangono irrisolti.
Io che mi stavo organizzando per un nuovo periodo di attività come medico libero-professionista, con il programma di esercitare a tempo pieno il mestiere che mi piace e che so fare, adesso mi trovo proiettato in questo nuovo impegnativo compito di presidente di fondazione, a confrontarmi con problemi per me nuovi, come quelli legali o quelli finanziari.
La serenità per affrontare tale compito al fondo deriva dalla consapevolezza che assumere tale responsabilità significa rendersi disponibili a collaborare ad un disegno più grande ed inserirsi in una storia alla quale hanno contribuito in più di un secolo cosi tanti benefattori.
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20). Un apprendista presidente che sa di non essere solo.
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