Criticata, accusata, disapprovata. L’Europa, intesa come Unione, viene sempre meno spesso vista come un’alleanza volontaria e cooperativa per migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini. Gli elementi positivi come la stabilità, la pace, l’abolizione dei confini e delle barriere, vengono il più delle volte dimenticati e si sottolinea l’Europa come struttura burocratica, come rigidità politica, come riduzione delle sovranità nazionali. Come sarà l’Unione europea alla fine del 2019? Sicuramente diversa da quella che vediamo oggi. Perché il 2019 sarà un anno in cui si concentreranno molti appuntamenti che potranno dare una nuova immagine e probabilmente anche una svolta ad una realtà che, dopo aver superato i suoi primi 60 anni, si trova in piena crisi di identità. L’Italia, o almeno il Governo italiano, si è trovato in una posizione perlomeno complessa: in pratica ha dovuto difendere quello in cui non crede. Deve difendere l’Europa perché i vantaggi della partecipazione al processo unitario sono innegabilmente superiori ai costi di una ipotetica “Italexit”, ma la maggioranza che sostiene il Governo è comporta da due partiti, la Lega e i Cinquestelle, che hanno condotto tutta la loro compagna elettorale all’insegna di una dura opposizione all’Europa e in particolare alla moneta unica. Argomenti che hanno permesso di raccogliere ampi consensi, ma che alla prova dei fatti si sono dimostrati velleitari e pericolosi perché senza l’Europa e senza l’euro l’Italia sarebbe molto più povera: un’economia che trova nell’export la propria vitalità avrebbe tutto da perdere dalle svalutazioni competitive e dai dazi doganali.
Anche per questo le prossime scadenze sono particolarmente importanti. Sono infatti almeno cinque gli appuntamenti che attendono la Ue nei prossimi mesi e quattro di questi sono già fissati sul calendario.
Il primo avverrà alle 23 del 29 marzo e sarà l’uscita della Gran Bretagna. Di sicuro c’è solo la data e l’evento: mancano tre mesi, ma dopo più di un anno di negoziati tutto sembra ancora in alto mare. L’unica intesa finora raggiunta è quella di mantenere almeno fino al dicembre 2020 le quattro libertà fondamentali, cioè la libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi. E gli inglesi si stanno rendendo conto che una cosa è la propaganda e un’altra cosa la realtà dei fatti.
Il secondo appuntamento saranno le elezioni europee che si terranno tra il 23 e il 26 maggio nei 27 paesi dell’Unione (a questo punto senza la Gran Bretagna). Sarà questo un passaggio importante per verificare la dimensione di un antieuropeismo che è diventato un cavallo di battaglia per molti movimenti politici in tutti i paesi.
Il terzo e il quarto appuntamento sono fissati per la fine di ottobre: il rinnovo della Commissione e la nomina del nuovo Governatore della Banca centrale europea in sostituzione di Mario Draghi. La Commissione è in pratica il Governo dell’Unione con un rappresentante per ogni paese membro: la nomina del presidente e dei componenti viene formalmente compiuta dal Consiglio europeo (dove siedono i capi di Stato o di Governo dei 27 paesi), ma su indicazione dei singoli paesi e dopo un voto del Parlamento.
Lo stesso Consiglio europeo dovrà anche nominare entro ottobre il successore di Draghi. E dopo un olandese (Wim Duisenberg), un francese (Jean Claude Trichet) e un italiano, i favori del pronostico vanno per ora verso il germanico Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank. E già viene data per scontata in questo caso una politica monetaria più rigida e inflessibile rispetto a quella pragmatica e accomodante di Draghi.
L’ultimo appuntamento riguarda il tema generale della riforma dell’Unione europea, una riforma che tutti ritengono necessaria, ma sulla quale sarà estremamente difficile trovare un’intesa e praticamente impossibile raccogliere l’unanimità dei consensi. Si è infatti ormai interrotto il processo per arrivare a creare gli Stati Uniti d’Europa. Il pendolo oscilla ormai fortemente dalla parte di chi vuole il recupero di sovranità da parte dei singoli paesi.
Anche per questo il futuro appare complesso. E non si può non sottolineare come le posizioni politiche che si autodefiniscono populiste contribuiscono a complicarlo ancora di più.
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