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Politica

COSTRUIRE LA PACE

EDOARDO ZIN - 21/12/2018

??????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Non saprei, sul filo della memoria, se fossimo al passaggio tra settembre e ottobre. Di quel giorno rammento l’afa pesante, il cielo velato di vapori, la macchina che faticava a salire sulla dolce collina bergamasca, la strada stretta, fiancheggiata da alti alberi. Ero salito lassù con un amico a salutare – e sarebbe stata l’ultima volta – un padre saggio, creato da pochi mesi cardinale.

Una gentile suorina ci introdusse nello studio. Il prete della nostra giovinezza era seduto su una poltrona, le gambe coperte da un plaid, sul viso, fattosi ancor più scarno, risaltavano le imponenti orecchie e gli enormi occhiali che cerchiavano gli occhi vispi come sempre, capelli a spazzola, ammantellato in una casacca nera e colletto romano su cui pendeva una croce pettorale di metallo.

“Eccomi qua! Vi aspettavo e vi ringrazio della vostra visita”. Era il prete che con la passione inesausta ci aveva tramandato – col caldo della sua cadenza veneziana – il Vangelo, quel monsignore che ci salvò dalle reprimende curiali, quel vescovo che lasciò di “custodire le pietre di Loreto” per ritirarsi in quel luogo caro a Papa Giovanni per pregare, custodire le sue memorie nell’attesa di ricongiungersi a lui.

Domandò delle nostre famiglie, della nostra professione, del nostro impegno nella società e nella Chiesa. Ricordammo fatti, ci chiese notizie di altri amici (“E Wladimiro, avete notizie di lui? E Riccardo? E Marco? Non ho più notizie di Camillo…). Comprendemmo che – come sempre – gli piaceva la giustizia, esigeva il meglio da noi, talvolta scuoteva la testa, di Dio parlava poco perché di Lui bisogna ragionare senza parole, adorarLo piuttosto.

Il nostro era un ricordare senza scadenza, un muoverci tra l’andirivieni di pensieri appena abbozzati e gli intendimenti dell’oggi. A un certo punto ci guardò fisso negli occhi, affondato nella poltrona:” Voi lo sapete, vero, che Papa Giovanni ebbe l’ispirazione della “Pacem in terris” recitando il “Gloria” durante una messa mattutina. Mentre lo aiutavo a togliersi la pianeta, mi disse: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà: ecco la sintesi di tutto l’insegnamento sociale della Chiesa!”.

Mi perdonerete, amici lettori, se vi ho fatto partecipi di questo avvenimento. Lo faccio alla luce del Presepe. Quando, la notte di Natale, come pure ogni domenica quando recitiamo il “Gloria” durante la Messa, cantiamo il “Gloria”, non può essere scontata questa espressione. La notte di Natale sarebbe costellata invano di stelle e di luci se essa non ci riportasse al Mistero e alla somma, anche penosa, delle nostre ansie, dei nostri desideri. Siamo uomini che viviamo in questo momento e vana sarebbe la nostra fede se con libero rigoglio della mente non pensassimo a ciò che ci accade attorno a noi e non facessimo nulla per portare il nostro mattone alla costruzione di un mondo migliore. Glorificare Dio per donare pace all’umanità: ecco l’impegno del credente!

“Sia gloria a Dio nel più alto dei cieli”. Dare gloria a Dio significa convenire, adottare la Sua parola quando s’accende nei nostri cuori e prende figurazioni smisurate. Il canto degli Angeli c’invita a guardare a Lui, ad accettare le Sue proposizioni e a tentare di aderirvi col coraggio della coerenza. È Dio l’espressione delicata e immensa del nostro pensare. Ma come faremmo a persuadere chi è d’avviso contrario e ha diritto al suo ergersi indipendente davanti al dilemma del Trascendente a cui dare gloria? Chi pensa è convinto che la gloria di Dio riempie la terra, che Dio non è arrabbiato con gli uomini che sono l’oggetto della Sua bontà, della Sua misericordia, del suo afflato d’amore che spande nel mondo per il loro bene. Chi è alla ricerca, non deve aspettare di trovare la strada giusta, dimenticandosi che la strada giusta si trova camminando e non aspettando.

“E pace in terra agli uomini di buona volontà” (ma alcune versioni dicono: ”agli uomini che Egli ama”!). Se noi renderemo gloria a Dio che è nei cieli, avremo la pace sulla terra. La notte di Natale sembra tutti ingentilirci. Tutti aderiamo, talvolta inconsciamente, a un fatto che il mondo dovrebbe riconoscere quella notte. Ma Natale non è quel Ricciolino di gesso con la camiciola listata d’oro.

Viviamo in un mondo che, anche nella notte santa, insiste a ferirci. In una società dove mascheriamo la giustizia con la polvere dell’elemosina, dove scambiamo la solidarietà con un gruzzolo di frasi consunte dall’abuso, il bene comune con una delega ai governanti, la dignità dell’uomo e di tutti gli uomini con i bizantinismi dei trattati, la pace come una parola sgonfia di significato, quasi flaccida.

La cronaca ci insegna quotidianamente che le nazioni cercano soprattutto la potenza o il danaro o il petrolio: la guerra è alle porte. La politica sembra essere autorizzata a non pensare – direbbe il nostro vescovo – perché al ragionamento sostituisce la battuta, alla veridicità dei numeri lo slogan populistico, alla ricerca della soluzione migliore il litigio feroce.

Vogliamo la pace, ma non la costruiamo nelle azioni quotidiane. Piangiamo le morti, ma Dio non conta le nostre lacrime. I nostri cuori hanno crepe create dalla disoccupazione, dai disastri naturali, dalla corruzione, dai litigi. In quelle crepe può entrare la luce della gloria di Dio perché anche le ferite possono diventare punti di luce da dove ripartire per costruire la pace.

E allora buon Natale di Gesù e sereno anno di pace!

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