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Sport

UN ITALIANO IN AMERICA

ETTORE PAGANI - 14/12/2018

nbaStrana intervista televisiva a un italiano che si è distinto nei meandri organizzativi della NBA sottolineandone la stranezza, come derivante dall’insolita carica attribuita ad un italiano nel regno del basket americano.

Il nome non conta. Si tratta di un personaggio già presente con incarichi importanti nel basket italiano.

Piuttosto viene da domandarsi a quale scopo gli sia stato affidato l’incarico, ferma restando la valutazione negativa sul modo di giocare a basket nel campionato italiano attualmente rispetto ad un lontano passato.

È difficile comprendere quale possa essere il compito di questo personaggio.

Cominciamo – allora – con il precisare: si trattava di quel basket che proprio dagli Stati Uniti era stato importato in Italia con modalità diverse dalle precedenti.

L’ultimo modello prevedeva un gioco organizzato a schemi premeditati rispetto alle precedente improvvisazione; per quanto riguardava il basket varesino a introdurlo fu Vittorio Tracuzzi (si notava la curva sul parquet della palestra di via XXV Aprile a lanciare monetine le quali rappresentavano i vari schemi).

Tutto diverso insomma, dall’improvvisazione precedente, tanto diverso da fare sorgere il rifiuto del carismatico capitano, Sergio Morelli, della squadra che, in disaccordo con Tracuzzi, abbandonò il Varese per trasferirsi alla formazione di Cantù.

Qui, dunque, si parla di una netta preferenza per il gioco a schemi, più ragionato ed interessante rispetto all’ improvvisazione.

Ora tutto è tornato come prima: nella NBA e in Italia è gioco fatto di corsa e con molta attenzione con abbandono degli schemi.

Tutto come prima, appunto, senza una ragione precisa dell’andamento del gioco schematico per far posto all’atletica.

Insomma si è preteso di lasciare il posto al gioco formato NBA accantonando il nostro. Una imitazione e una copiatura di gioco senza nessuna necessità di abbandonare l’altra. Come se gli statunitensi si fossero accostati al nostro calcio abbandonando il proprio, cosa che sono stati ben lontani dal fare.

La presenza del personaggio nella NBA dovrebbe, quindi, fare da ponte-scambio di giocatori individuando i più qualificati (o ritenuti tali) italiani per passare alla NBA, nonché alcuni validi stranieri per passare al campionato italiano.

Il fatto è che attualmente i giocatori italiani passati nella NBA sono rimasti due e invece gli americani passati nel nostro campionato sono numerosi, ma soprattutto anche nell’insieme sono molto più scarsi di ciò che meritano. Il che rende difficoltoso il ruolo dei tecnici italiani in America.

Resta, insomma, da capire perché in Italia non si pensi a riproporre il modello di gioco precedente con giocatori italiani dei… “nostri”, senza con questo negare la presenza numericamente controllata stranieri, ma di buona qualità. Che questi siano più di qualità astrattamente? Li convinceremo del contrario.

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