Ed eccoci nuovamente a Natale. E con esso, nuovamente, alle pretestuose polemiche sull’allestimento del presepio e sull’esposizione del crocifisso in classe e nei luoghi pubblici!
Dice il ministro dell’Istruzione che sono simboli della nostra tradizione. E Salvini gli dà man forte. Ma sì, lasciamoli pure credere che il Natale sia la capanna, col mitico corteggio di pastori, con lo stuolo di angeli, con i due pacifici animali che riscaldano il Bambino con il fiato, le carte blu con le stelle dorate che fanno da sfondo. E lasciamoli poi ad ambientare il Natale cartolinesco, consumistico e festaiolo, con le musiche a tutto volume che riempiono le strade del nostro centro cittadino, con i regali, lo spumante e il panettone all’ultima moda, i mercatini. Per loro il Natale è una leggenda, un mito che fanno parte di un sedimento emotivo, culturale. Lasciamoli stare alle loro tradizioni, che hanno tradito trasformando perfino la commemorazione dei defunti nella grottesca festa di Halloween!
Eh sì perché tradizione e tradimento hanno la stessa radice: derivano dal latino “tradere”: la Tradizione (con la “t” maiuscola!) indica il legame col passato autentico, mentre il tradimento è l’infedeltà, la perfidia. E molti, salvando certe tradizioni, vogliono difendere il contrario di ciò che il simbolo fa tesoro: la memoria attinta dalla storia, unica, pura. Mascherano quel segno con la loro ideologia fatta di contrapposizione. Offendono quel segno in nome di una cultura, come se la fede fosse bastione e non apertura, chiusura e non incontro con colui che è venuto ad abitare tra noi, creati a sua immagine e somiglianza perché noi potessimo collaborare con Lui per la salvezza dell’uomo. Non possono costoro comprendere, lo so, perché sono duri di cuore e non è concesso a loro di pensare: il presepio rappresenta solo un racconto appreso dalla tradizione ma non racconta la vita che salva.
Il presepio, infatti, per i veri credenti è solo un simbolo, un segno per fare memoria di ciò che è capitato circa 2018 anni fa: Dio si è fatto uomo come me, come te, come tutti per salvarci, per annunciare che siamo tutti uguali, per dirci che le relazioni umane prive di amore sono pure ipocrisie, per indicarci che il Bambino ci è stato dato per rappresentare l’indifeso, l’emarginato, lo scartato, coloro che sono tenuti a distanza perché puzzano.
Non si può allestire il presepio senza riandare al significato di ciò che esso rappresenta. I credenti sanno che il contesto entro cui si vive il Natale d’oggi è contraddistinto dalla dissipazione quanto da brandelli di senso: non si sa se la data della nascita di quel Bambino comportasse il disagio del freddo o quello del caldo torrido dell’arsa Palestina come è improbabile che ci fosse la neve sui bassi colli di Betlemme.
Si sa di certo, però, ciò che Luca racconta: “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto”: come non poter pensare alle numerose donne incinte caricate sui barconi d’oggi in cerca di rifugio e annegate in fondo al mare con le loro creature? Continua l’evangelista: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché non c’era posto nell’alloggio”: come non poter riflettere sulle migliaia di migranti che avevano trovato ospitalità nei centri pubblici e accoglienza in numerose famiglie ed ora ne sono banditi? Non vivono forse essi nella loro carne tutta la pienezza della povertà come quella del Bambino che devoti tradizionalisti vogliono ricordare con il Presepe?
Continua il Vangelo: “C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte, facendo la guardia al loro gregge….I pastori dicevano l’un l’altro:- Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. I nostri presepi sono affollati di statuine di pastori, di artigiani, di massaie, di luci: perché non vedere in essi le migliaia di volontari, di soccorritori che vanno incontro ai derelitti dei nostri giorni portando loro non prestigiosi regali, che molti fanno per coltivare la loro immagine e “far bella figura”, ma doni, che è dolce offerta d’amore? Dio non è nel presepio, ma nella mano tesa del mendicante, nella tenerezza di un uomo, nella dolce bellezza di una donna.
Arrivarono i pastori alla mangiatoia. Nelle icone ortodosse, la greppia è rappresentata sotto forma di bara che allude alla morte di croce di quel Bambino. Fanno bene, questa volta, i paladini del cristianesimo richiamare culla e croce. La croce era il castigo più umiliante, quello riservato alla feccia dell’umanità. Anche Gesù è stato condannato alla morte di croce perché blasfemo, rigettato perfino dalla sua religione perché ne aveva sfidato i divieti, invitando i suoi seguaci a liberarsi dalle barriere innalzate dai farisei e dai dottori della legge.
Guardando la croce, essa sembra prevalere sul Crocifisso, dando così libero sfogo alle ambigue tendenze dei crociati che tutto vogliono conquistare con la forza, dimenticando che gli uomini sono “segnati dalla croce” e che non è essa che fa grande Gesù, ma Lui che riscatta la croce, come i cristiani dovrebbero riscattare con gesti d’amore tutti gli uomini e le donne crocifissi per la loro fede, razza, sesso, nazionalità.
Non saranno i praticanti, ma i credenti a fare tesoro della Tradizione, dell’antico, attingendo la memoria del Mistero non dal presepio, che conserva il suo valore solo se esso attinge senso dal Vangelo.
Solo allora, davanti all’incarnazione di Dio, il Natale cesserà di essere la fiera dei mondani tradizionalisti e diverrà l’adorazione umile e povera del messaggio d’amore del Dio fattosi uomo.
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