Non arretreremo d’un millimetro. Chi se ne frega di quest’Europa dello zero virgola. Tanti nemici tanto onore. Tireremo dritto, la manovra non si cambia. Basta con le storie di numerini e decimali. Poi il ribaltone, che ci è costato una montagna di soldi in mesi di rovesci finanziari: Conte va da Juncker e gli dice che il rapporto deficit/Pil 2019 può scendere dal 2,4 per cento al 2,04. In che modo acrobatico e realistico? Vedremo, al netto delle chiacchiere e verificati i saldi finali. Ma le macerie politiche resteranno. Eccome se resteranno. Condizionando il futuro dell’alleanza gialloverde, dato che qualcuno dovrà mollare qualcosa più di qualcun altro. E gl’italiani, sensibili alle fregature, faticheranno a capire. Anzi, forse non capiranno affatto.
Il possibile malevento, historiae Urbis narrant, indurrebbe Salvini all’idea di far tirare le cuoia al governo anziché farlo tirare a campare. Prima che sia troppo tardi per ottimizzare il maxiconsenso attribuitogli dai sondaggi. E prima che dall’esecutivo se la filino, adempiuto al compito d’evitare la bancarotta, ministri di gran peso, Tria e Moavero per esempio. Tesoro ed Esteri, mica paglia. Di conseguenza: Lega e Cinquestelle obbligati a un rimpasto di qualità, non solo di quantità. Però chi trovare disponibile all’arruolamento? Si disegnano all’orizzonte percorsi di fuga a gambe levate.
Perché dunque non chiamare al ravvicinato opinionismo elettorale i connazionali, puntando al bottino grosso? Oggi o mai più. Per oggi s’intende l’inizio di marzo, a tre mesi e mezzo dalle europee. Record alle porte: mai nessuna legislatura è durata un solo anno. I ministri verdi si dicono pronti a seguire il Capitano, i governatori idem, gli amministratori locali pure. E gli alleati? Ma quali alleati. Col proporzionale, ognuno per sé, salvo generiche dichiarazioni di comuni intenti. Poi, a suffragi espressi, si vedrà che fare. Pronostico: il vecchio centrodestra supererà tutt’insieme il quaranta per cento. E avrà i numeri utili a governare, con tanti saluti a Di Maio et similia. Tra parentesi: alcuni (molti?) dei sostenitori stellati di ieri potrebbero diventare sponsor del sovranismo felpato di domani.
E l’opposizione? Già, l’opposizione. L’anticipo della partita per Camera e Senato la coglierebbe di sorpresa. Cioè: coglierebbe di sorpresa il Pd, sempre intento a rimuginare, distinguere, dividersi e via cincischiando. Buttiamolo lì, un audace/fantasioso pronostico: 1) Renzi va per conto suo, preferendo incassare una sconfitta onorevole con un nuovo movimento-partito piuttosto che la disonorevole débacle indossando lo smunto gilet rosso; 2) i Democrats fanno una campagna di riformismo pop, cercando d’occupare l’occupabile a sinistra; 3) resta il centro. Qui si attende, si giustifica e addirittura si invoca la discesa in campo dei laici cattolici: gli spazi ci sono. Anzi, le praterie. Reso noto un progetto alternativo di società e accesa una connessione sentimentale di massa, l’obiettivo primario è conquistare la fiducia degli sfiduciati, quelli che non votano più e rivoterebbero volentieri, se la loro inevasa domanda incrociasse un’accettabile risposta. Del resto, a emergenza, emergenza e mezzo: un partito aperto e inclusivo, pro diritti e ambiente, redistribuzione della ricchezza e progresso tecnologico. Talvolta le cose/le squadre fatte di corsa riescono meglio di quelle studiate a lungo. Festina lente, come diceva il paradossale Augusto: agisci presto, seppure con cautela. Che imperatori abbiamo avuto.
You must be logged in to post a comment Login