Il latino, assieme al greco, nei secoli è rimasto un importante riferimento culturale e anche sociale per la sua influenza in più ambiti della vita delle italiche comunità, legate da vincoli saldi alla secolare vicenda di una lingua storicamente imperiale.
Oggi in più continenti si cede il passo all’avanzata della cultura mediatica anglosassone, una vera armata che, negli ultimi decenni, dopo avere occupato l’ambiente scientifico, fa passi non piccoli in territori nuovi e di culture non più impermeabili soprattutto a fronte della travolgente avanzata della comunicazione. Che è tanto coinvolgente e dominante sul piano internazionale da indurre i balilla di turno al governo romano a “ritoccare” ulteriormente il profilo del latino e del greco nei licei classici, probabilmente perché pensano di rafforzare la preparazione dei giovani, quella “barbarica”, ripudiata in particolare dai nostri grandi poeti e scrittori sino a parte del secolo scorso.
Il liceo classico è particolarmente formativo grazie ai mondi antichi dei quali in cinque anni di studi quasi tutto si viene a sapere, nello specifico, dei comportamenti dell’uomo, diversificati, incredibili a volte, tanti e tali però da non costituire più una sorprendente novità per i diciottenni che si affacciavano alla vita per il tramite degli studi specialistici richiesti dalle professioni.
Quando lasciai il liceo classico di Como, dedicato ad Alessandro Volta, una scuola di grande tradizione, non c’era ancora la laurea in giornalismo e aspettavano allora coloro che volevano fare i cronisti anni di una scuola davvero difficile, pesante, a contatto con vicende umane sconvolgenti. Erano gli anni di quella che avrei chiamato l’università dei marciapiedi. Nulla di questo “ateneo” mi sorprese o mi creò difficoltà perché ebbi modo nel mio lavoro di riscontrare che in più di duemila anni di storia i comportamenti dell’uomo, quelli peggiori in particolare, non erano mutati, al massimo leggermente modificati in relazione a tempi, modalità o scopi.
Oggi la ventina di quei giovani di belle speranze che vennero dichiarati maturi nel luglio del 1951 è assai numericamente ridotta e succede che quando telefono ad Aldo – dopo una brillante carriera come dirigente di una industria tedesca vive il tempo della sua pensione al mare e ai piedi delle Alpi Apuane – avendo egli letto il numero telefonico di chi lo chiama, mica saluta, chiede immediatamente: “Chi è morto?”.
Rassicurato, la conversazione procede allegra e serena.
Perché cito Aldo? Perché voleva fare il medico e da liceale passava l’estate nell’inferno di caldo di una piccola città emiliana a fare da infermiere a un parente che era medico condotto. Suo padre lo convinse o forse lo obbligò a iscriversi alla Bocconi dalla quale uscì con una brillante laurea.
Non fu un handicap la sua minore preparazione scientifica rispetto a quella di studenti di altri licei: Aldo era infatti più maturo e “aperto” di loro, il suo fu un bel percorso in un ateneo di grande livello e, qualche anno dopo, anche nella vita.
Io non mi sono mai pentito della mia scelta professionale anche se un pizzico di rimorso ogni tanto affiora per non avere accontentato, laureandomi, i miei genitori.
Dai balilla romani non sempre e solo sassate sulla scuola: si parla adesso di corsi per l’educazione civica dei giovani. Ci sono voluti anni, sino ad arrivare allo sfascio educativo rappresentato dai comportamenti di numerosi giovani oggi anche e principalmente al di fuori della scuola, ma è chiaro ormai a tutti che il peggio è radicato nella falsa realtà di una “scuola libera e democratica”, dei diritti degli studenti e delle loro famiglie, del ridimensionamento dei poteri degli insegnanti, guardati spesso come avversari dei giovani, delle famiglie di una controllata libertà di insegnamento che per decenni è stata un solido binario sul quale correva anche e soprattutto il convoglio della sicurezza collettiva, dell’interesse dello Stato, ma soprattutto dei giovani e delle loro famiglie.
Benvenuto il sussulto in termini di recupero del rispetto delle regole da parte dei ragazzi, ma sarà una iniziativa destinata al fallimento senza il recupero ai doveri, prima ancora che ai diritti, delle famiglie, quelle dove albergano padri pugili o mamme linguacciute che pensano di avere allevato campioni di buona volontà, di eleganza, di senso civico. Sino a quando non sarà al lumicino questo mondo di infelici e prepotenti non la scuola, ma l’intera società non ripartirà.
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