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Cultura

TEORIE DELL’AZIONE SOCIALE

LIVIO GHIRINGHELLI - 07/12/2018

talcottTalcott Parsons (1902-1979) nasce a Colorado Springs nel 1902, completa gli studi a Londra, orientandosi verso il funzionalismo grazie ai corsi di Malinovski. Consegue il dottorato in Germania all’Università di Heidelberg.

 Negli Stati Uniti insegna prima economia, poi sociologia ad Harvard. Con l’opera La struttura dell’azione sociale (1937) delinea i tratti di una teoria globale della società, mentre la tradizione sociologica statunitense privilegia la ricerca empirica e le teorie a medio raggio.

 La teoria dell’azione sociale richiede un attore (l’individuo studiato dalla psicologia), una situazione (analizzata dalla sociologia) e un orientamento dell’attore nella situazione (determinato da norme, fini e valori, oggetto dell’antropologia culturale).

 La società si presenta come un insieme di atti elementari, congiunti in sistemi strutturati, che definiscono gli status (posizione dell’individuo nell’ambito del sistema complessivo) e i ruoli (comportamenti attesi e prodotti solitamente dall’individuo sulla base dell’insieme delle norme proprie del suo status).

 La struttura sociale è data da un sistema di processi di interazione regolati da norme. I comportamenti derivano dalla struttura sociale e non dai singoli; essa si conserva indipendentemente dagli individui concreti, che occupano le varie posizioni nei diversi momenti. Ognuno, in ogni caso, deve possedere alcuni requisiti funzionali, cioè garantire il realizzarsi di determinate condizioni (soddisfacimento dei bisogni primari, integrazione dei vari membri). Tutto deve essere funzionale alla conservazione dell’insieme, onde la definizione di struttural-funzionalismo. Esiguo risulta lo spazio dedicato ai fattori di cambiamento.

 Durkheim, Pareto e Weber hanno già individuato le componenti dell’azione sociale, senza però coordinarle in una struttura complessiva. Un atto richiede l’attore, un fine da conseguire e ha inizio in una situazione. Quella di partenza è analizzabile in base a due tipi di elementi: quelli nei confronti dei quali l’attore non ha possibilità di controllo, quelli su cui tale possibilità risulta. Nel primo caso si può parlare di condizioni, nel secondo di mezzi.

 Ciò che è essenziale al concetto di azione è l’esistenza di un orientamento normativo. Quella di Parsons è una teoria volontaristica dell’azione sociale; centrale risulta l’aspetto normativo per l’ambito e la direzione dell’azione. Con distacco dal positivismo, l’autore introduce nell’analisi sociologica il punto di vista del soggetto agente, considerato non come atomo isolato, ma come partecipe di valori comuni interiorizzati. C’è una scoperta delle norme come espressione sociale interiorizzata dai singoli.

 Le norme morali non sono legate a una coercizione esterna. La teoria dell’azione consente di coordinare in un tutto organico il contributo delle diverse scienze sociali. Lo schema logico dell’azione prevede una differenziazione minima degli elementi strutturali: fini, mezzi, condizioni e norme. Nei rapporti di questi elementi è implicita l’esistenza di un carattere teleologico. L’azione poi è un processo che si svolge nel tempo. Il corrispettivo del carattere teleologico è la coordinata temporale nei rapporti tra elementi normativi e non normativi.

 Il sistema di norme che regola l’azione non è osservabile nell’azione stessa, ma ne costituisce lo schema logico. La teoria dell’azione non descrive realtà empiriche, ma rapporti. Ogni azione comprende più livelli strettamente connessi. La metafora del “nodo di fili” indica che nell’orientamento dell’azione intervengono una serie di componenti, per cui l’approccio deve essere multidisciplinare; alla molteplicità dei piani implicati nell’azione deve corrispondere la pluralità degli approcci metodologici. Parsons suggerisce un’analisi condotta congiuntamente dalla psicologia, dalla sociologia e dall’antropologia culturale.

 Un sistema sociale consiste di una pluralità di soggetti individuali interagenti fra loro, spinti dalla tendenza all’ottimizzazione della gratificazione nei termini di un sistema di simboli culturalmente strutturati e condivisi.

 Gli altri due aspetti della strutturazione sono i sistemi della personalità dei soggetti agenti individuali e il sistema culturale fondato sulla loro azione. Ognuno dei tre ambiti, psicologico (soggetto individuale), sociologico (la situazione), culturale (il sistema di simboli) ha una propria struttura, sia dal punto di vista conoscitivo, che sul piano costitutivo.

 Negli anni Cinquanta nasce la teoria di Parsons che non riguarda più l’analisi delle singole azioni, bensì il loro esprimere complessivamente un sistema organicamente strutturato (Il sistema sociale, 1951). Una società non è un aggregato, ma una struttura organizzata e stabile. I singoli comportamenti sono strutturati in status e ruoli, che costituiscono centri di sistemi di azione. Ogni soggetto agente individuale è coinvolto in una pluralità di relazioni di inter-azione.

 La sua partecipazione ha due aspetti primari: quello situazionale (status) e quello processuale (ruolo). Parsons parla di aspettative di ruolo, come insieme di disposizioni comportamentali interiorizzate mediante il processo di socializzazione. Queste disposizioni si esprimono in orientamenti di valore.

 Ogni sistema sociale, per potere sopravvivere, deve possedere alcuni requisiti funzionali in grado di soddisfare i bisogni primari dei membri e di garantire un bilancio attivo nel rapporto tra gratificazioni e deprivazioni sociali, tra successi e insuccessi. Ecco la prospettiva dello struttural-funzionalismo. Gli elementi dei sottosistemi ricordati (personalità, situazione, cultura) sono funzionali all’integrazione dell’insieme. Il mantenimento del sistema assume importanza prevalente, onde, da parte dei critici, l’accusa di conservatorismo.

 Parsons invero non prende posizione pro o contro il cambiamento (a parte l’enfatizzazione degli aspetti positivi della società statunitense), ma pensa che il sistema sociale tende all’integrazione funzionale delle varie componenti e sottolinea l’adattamento reciproco fra i vari sottosistemi.

 D’altronde la tendenza a conservare non significa assenza di mutamento, poiché possibili fattori in merito provengono sia da altri livelli del sistema (progressi in campo scientifico e tecnologico, acquisizione di nuove idee) sia da altri sistemi con cui quello considerato entra in relazione.

 Per Parsons l’equilibrio sociale è visto non come una condizione di partenza, bensì come esito complesso e precario dell’interazione di forze che compongono il sistema sociale.

 Questi sono i quattro requisiti funzionali della stabilità: adattamento all’ambiente naturale, perseguimento di scopi di interesse collettivo, integrazione dei ruoli, mantenimento e riproduzione delle motivazioni e del controllo sociale.

 Parsons individua poi nelle dicotomie universalismo-particolarismo, realizzazione-attribuzione, affettività- neutralità affettiva specificità-diffusione, orientamento in vista dell’ego-orientamento in vista della collettività le variabilità strutturali che costituiscono le diverse alternative di valore e di azione sociale a disposizione dei soggetti.

 Le scelte dei soggetti appaiono largamente influenzate dal tipo di condizionamento culturale prevalente nel processo di socializzazione.

 Altre opere da segnalare: Struttura sociale e personalità (1963), Teoria sociologica e società moderna (1967), Sistema politico e struttura sociale (1969).

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