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Il Mohicano

FRULLATORE

ROCCO CORDI' - 07/12/2018

Salvini in piazza Podestà nel 2016

Salvini in piazza Podestà nel 2016

In un editoriale pubblicato sul quotidiano locale il Ministro dell’Interno ha voluto rivolgersi “direttamente ai Varesotti” (sic) per illustrare i suoi impegni verso il nostro territorio. In realtà leggendo l’articolo “gli impegni” consistono in uno solo: la sicurezza. O meglio quello che lui intende per sicurezza.

Di un messaggio diretto non si sentiva proprio il bisogno anche perché gli argomenti sono arcinoti e alimentano l’incessante bombardamento mediatico effettuato con l’utilizzo di qualsiasi pertugio informativo.

Il Ministro si addentra fin nei minimi dettagli del decreto da lui imposto e approvato da una maggioranza che, non fidandosi neppure di se stessa, deve ricorrere all’odiatissimo (un tempo) voto di fiducia. Se poi a praticarlo ora sono gli stessi che quando lo facevano gli altri occupavano il Parlamento, inutile scandalizzarsi, loro sono quelli che “tireremo diritto”.

Salvini si vanta di aver tagliato i fondi per l’accoglienza “stroncando così il business di chi lucrava sui clandestini”. E però una cosa è punire soprusi, abusi, reati, che anche in questo campo purtroppo si consumano quotidianamente, altro è colpire indiscriminatamente indicando “nemici” in ogni dove. Così facendo sono proprio le vittime del “business” a pagare il prezzo più alto.

Nel frullatore del ministro tutto viene mescolato ad arte, senza distinzioni  di sorta. Riferendosi al Varesotto lo descrive come un territorio assediato dal male. Elenca minuziosamente le norme varate (in molti casi si tratta di misure esistenti però riciclate in forme più aspre) e mette insieme in un unico calderone delinquenti e sbandati, spacciatori e facinorosi, accattoni e “clientele problematiche degli esercizi pubblici” (sic). Apprezza (e come potrebbe dire altrimenti) lo sgombero dei Sinti messo in atto dal Comune di Gallarate ignorandone costi e conseguenze. In questo crescendo rossiniano non c’è posto per una benché minima riflessione sul perché non abbiano funzionato, o lo hanno fatto malamente, le norme repressive avviate dai predecessori. Eppure uno di questi, il varesino Maroni, appartiene al suo stesso partito, ce l’ha in casa. Bastava una telefonata.

Un ministro, prima di scrivere nuove norme, più che al calcolo elettorale avrebbe dovuto interrogarsi sui possibili effetti sul piano economico come su quello sociale. Per non parlare di quello umano, della vita delle persone, degli uomini, delle donne e dei bambini, tutti spintonati in questo circuito infernale. Avrebbe potuto chiedere pareri e suggerimenti ai Comuni e alle associazioni umanitarie, laiche e cattoliche, che pure le esperienze le fanno sul campo. Il risultato sarà non di risolvere i problemi, ma di aggravarli complicando la vita delle vere vittime di questa situazione e di quanti operano con spirito solidale e onestà sul difficile fronte dell’immigrazione. E se le espulsioni di queste ore dai centri di accoglienza creeranno un esercito di sbandati privi di dimora e senza tutela alcuna, se le misure adottate peggioreranno la situazione cosa volete che importi a chi ha costruito le sue fortune elettorali sulla propaganda anti-immigrati (prima vennero i terroni poi gli albanesi, i rumeni, i cinesi, gli africani, i musulmani, fino al calderone indistinto e onnicomprensivo dei “clandestini”). Tanto peggio, tanto meglio. La strategia della paura non è una invenzione, ma una pratica politica che dà i suoi frutti.

Il messaggio ai “Varesotti” conferma che abbiamo un Ministro e un Governo che alla integrazione preferiscono la disintegrazione, agli accordi bilaterali o multilaterali la guerra contro tutti, alla riflessione e al confronto lo scontro. Agitare l’invasione o evocare uno stato d’emergenza permanente, perché non farlo se rende molto di più? E non importa se tutti gli osservatori e le statistiche smentiscono questo allarmismo. Per l’uomo del “me ne frego” le serie analisi degli osservatori sono sciocchezze. Si dà però il caso che i “numeri” reali del fenomeno migratorio sono pubblicati persino sul sito del suo Ministero. Così come sono noti anche i dati reali relativi alla criminalità, alla delinquenza comune e ai reati di ogni specie, annualmente resi pubblici, anche in provincia di Varese, dalla Questura e dai Carabinieri e non certo da qualche buonista di turno. Dati che smentiscono platealmente le tesi degli imprenditori della paura.

A quanto pare la conoscenza è incompatibile con la politica del twitter o di facebook.

Tutto l’impegno a favore dei “Varesotti” si esaurisce in termini repressivi. Niente sul piano economico e sociale. Eppure egli oltre ad essere Ministro dell’Interno è pure vicepresidente del Consiglio. Un uomo che agisce a tutto campo, capace persino di zittire, deridere, insultare chiunque non la pensi come lui, dall’UE all’ONU e a tutti quelli che ci stanno in mezzo. Un ministro che si misura “arditamente” anche in campo economico e finanziario.

Però su questo ai “Varesotti” non ha nulla da dire. Eppure è qui che si registrano gli assilli e le preoccupazioni maggiori dei lavoratori occupati e non, delle famiglie, di chiunque abbia una attività imprenditoriale, commerciale, professionale. È  qui che troviamo i nodi irrisolti di una provincia che nell’ultimo ventennio ha perso molti dei suoi primati. Su tutto questo il Ministro tace. Una prova di sottovalutazione o di dimenticanza? No, un’assenza. Un silenzio ancor più significativo se pensiamo che da queste parti tutti sanno, anche quelli dalla memoria labile, che “quelli di prima”, quelli che hanno  governato e sgovernato in lungo e in largo, quelli dei ministeri e degli assessorati chiave, erano loro.

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