Si avvicina il Natale e i sovranisti di casa nostra (cioè i nazionalisti più reazionari e conservatori), riscoprono il presepe. Non nel senso che si dedicheranno, come facevano i miei genitori in questo periodo, a raccogliersi in preghiera davanti ad una capanna in cartapesta, nell’attesa della nascita del Messia (lo shopping di questi giorni non lascia troppo tempo alle pratiche devozionali). No…, i sovranisti di casa nostra (cioè i nazionalisti più reazionari e conservatori) approfittano dell’occasione (tra un acquisto e l’altro) per lanciare una campagna promozionale su scala nazionale: un presepe in ogni scuola d’Italia! Lo ha detto persino l’attuale ministro dell’Istruzione, della ricerca e dell’Università. Anzi, ha rilanciato: non solo un presepe in ogni scuola, ma pure un crocifisso in ogni aula!
Rassegniamoci… A ritmi sempre più incalzanti, monta dappertutto la battaglia per la difesa delle identità culturali (qualunque cosa si intenda con questa espressione).
Ultima in ordine di tempo è la notizia che arriva da Codroipo, in provincia di Udine: secondo quanto riporta il quotidiano «la Repubblica», che a sua volta riprende il «Messaggero Veneto», il Consiglio comunale della cittadina in provincia di Udine avrebbe eliminato dal regolamento delle scuole ogni riferimento alle «diverse culture» o alle «culture di provenienza» degli alunni. Per settimane, invece, ha tenuto banco la vicenda del Comune di Lodi, che, modificando le regole per beneficiare delle tariffe agevolate per la mensa scolastica e l’autobus, avrebbe penalizzato i bambini, quasi tutti nati in Italia, ma figli di genitori nati altrove. Più vicino a noi, a Gallarate, il sindaco ha recentemente deciso di allontanare dal territorio comunale 89 nomadi: alcuni di questi, sono bambini frequentanti le scuole elementari e medie della città. Il severo e intransigente sindaco ha dichiarato al quotidiano «Avvenire»: «è finita la pacchia». E infatti, adesso il Comune di Gallarate paga agli sfrattati l’albergo.
La storia, anche quella recente, non insegna niente. Non discuto (non ne vale più la pena) le posizioni di paladini delle identità culturali, ma la vicenda di Gallarate ripropone inutili battaglie già perse dai paladini delle identità culturali di qualche anno fa. Il caso esemplare fu quello del Comune di Morazzone: qui, nel 2005, fu deliberata l’assegnazione di un contributo una tantum di 500 euro per ogni bambino non primogenito nato in paese (perbacco! sappiamo che questi paladini delle identità tengono molto alla famiglia!). I requisiti necessari per accedere al “bonus” erano tuttavia decisamente selettivi: la residenza da almeno cinque anni di almeno un genitore e la cittadinanza italiana di un genitore e comunque cittadinanza «ab origine» (cioè dalla nascita) italiana, dell’Unione Europea o Svizzera dell’altro genitore. Del resto, in quegli anni, si rimuovevano panchine dai giardini pubblici per evitare assembranti di immigrati e si dipingevano di verde le strisce pedonali per sostenere il passo marziale dell’attraversatore di strade padane. Ora, la delibera del Comune di Morazzone fu impugnata dalle Acli e il tribunale di Roma, dopo la consueta e lunga battaglia legale, stabilì che quell’atto amministrativo aveva una «sicura valenza discriminatoria per evidenti motivi etnici». Risultato: il piccolo Comune dovette sborsare oltre 40mila euro spese legali. Morale: la battaglia per la difesa delle identità culturali non paga. Al contrario, costa.
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