Nella società dell’accumulo ad ogni costo, a pochi giorni di distanza dall’evento economico del Black Friday imposto dal mercato americano a quello europeo, voglio offrire una mia modesta riflessione sull’esperienza della perdita delle cose.
Sono specializzata nello smarrimento degli oggetti e l’unica consolazione è sapermi in buona compagnia.
Io e alcuni come me da sempre perdiamo cose. Non possiamo nemmeno incolpare l’ineluttabile avanzare dell’età che impone ad ogni uomo la fase discendente della memoria.
Io sono sempre riuscita a perdere qualcosa, ad ogni età, in diverse occasioni e senza motivi apparenti.
Gli oggetti persi talvolta li ho recuperati, in posti dove non ricordavo di averli messi e senza capire perché li ritrovavo altrove. Più spesso li ho persi di vista e non li ho più ritrovati: con dispiacere in passato, con rassegnazione oggi.
Nel corso degli anni ho realizzato che perdere oggetti personali, in generale, non è così grave.
Potrebbe significare che nello spazio vitale personale non c’è posto per una quantità così grande di cose materiali, più pesante di quanto una struttura psichica possa sopportare.
Forse è un segnale: si deve ridurre, sfrondare, fare del vuoto intorno per lasciare spazio ad altro.
Forse sono messaggi dell’inconscio sulla difficoltà di riuscire a contenere “tutto il mondo” dentro una vita sola.
Si possono perdere cose e sentirsi inaspettatamente più leggeri.
Un problema al computer di qualche settimana fa ha causato la perdita delle migliaia di mail che avevo accumulate nel corso degli anni di informatizzazione.
Con le mail sono scomparsi gli indirizzi dei destinatari e quelli dei mittenti.
Confesso: all’inizio mi sono sentita persa. Avevo buttato nel buco nero della rete vent’anni di corrispondenza, suddivisa in tante ordinate cartelle tematiche. Tutto scomparso.
Pazienza? Pazienza.
Chi vorrà ricontattarmi si sforzerà di cercarmi e, se davvero lo vorrà, potrà trovarmi.
Le persone che mi servirà contattare, io le ritroverò, se ne avrò davvero bisogno e voglia.
Potrò bussare alla loro porta o inviare loro un biglietto postale; li recupererò contattando conoscenti e amici comuni, riuscirò a ricostruire il mio piccolo universo. Questa volta scegliendo le persone che vorrò avere accanto: un’occasione unica che mi viene offerta da una perdita.
Negli ultimi tempi sono riuscita a perdere qualche altra cosa. Un oggetto di questi l‘avevo osservato con interesse poche ore prima di smarrirlo, stupendomi tra me e me di averlo ancora, dopo otto anni: un vero record.
È un oggetto di cui ricordo circostanza, giorno, luogo e prezzo.
Chi lo ha trovato e trattenuto forse riuscirà a immaginarne la storia. Perché il passato di ognuno di noi poggia anche sugli oggetti che lo avvolgono come una corazza protettiva davanti al fluire del tempo.
Però si può imparare a perderli senza eccessiva sofferenza. Ogni perdita insegna è possibile anche vivere “senza”; che non è necessario accumulare, conservare, trattenere a ogni costo.
Ai distratti come me, ma anche agli altri, regalo le prime strofe di una poesia di Elizabeth Bishop, scrittrice statunitense del secolo scorso.
L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
L’arte di perdere non è difficile da imparare…
Il resto della poesia si può reperire in rete.
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