La comunità varesina è stata profondamene toccata dallo sconcertante episodio in cui un giovane di 15 anni è stato torturato in un garage della città da quattro coetanei.
La sua “colpa” pare consista nel rifiuto di consegnare un suo compagno di classe alla banda con la quale l’amico aveva contratto un debito di droga.
Come questo non bastasse alla violenza fisica ora sta aggiungendosi quella fatta di accuse, critiche e dileggio sui social e internet, almeno così riferisce la stampa.
La vicenda – complessa e sconcertante – suscita reazioni giustamente preoccupanti e molte domande.
Di fatto è al centro della questione il tema della educazione verso le giovani generazioni e la responsabilità degli adulti.
Il problema della violenza giovanile interpella profondamente ogni livello e ogni ruolo della società.
Tutti siamo coinvolti in una formidabile sfida educativa. Chi educa non può e non deve esercitare forme di dominio sull’altro, ma deve accompagnarlo verso una sua libertà più vera, cioè liberata da vincoli egoistici e di possesso.
Questo processo non è frutto solo di parole ed indicazioni, ma soprattutto di una testimonianza dell’educatore per una speranza credibile e una verità cercata appassionatamente.
Viene alla mente la posizione dell’Apostolo Paolo «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24).
Nel contesto contraddittorio, individualista e pretenzioso di oggi noi adulti fatichiamo ad indicare ai giovani percorsi sereni e costruttivi, nonché ideali alti che chiedono anche di spendersi e donarsi.
Lo sguardo quasi esclusivamente rivolto su se stessi rende difficile costruire con gli altri un futuro; la pretesa di arrivare come primi non permette di condividere una storia in cui ciascuno fornisce il proprio contributo; una visione inadeguata della società rende indifferenti verso una logica di «buon vicinato» così tanto necessaria; la poca convinzione con cui parliamo di alcuni valori e li viviamo diventa alibi per una cura esasperata del proprio narcisismo a discapito di tutti; la mancanza di accortezza e prudenza permette la invadenza eccessiva di social network nelle nostre relazioni condizionate e – talora – giudicate da tali mezzi tecnologici.
L’inquietudine che condividiamo ci deve spronare ad una seria verifica su come dialoghiamo coi nostri ragazzi, cosa diciamo loro, cosa mostriamo di fatto che vale di più, come gli mostriamo una bellezza ed un bene cui anche loro appartengono.
Gli schemi culturali della società mondana si dimostrano sempre più fallimentari in ordine alla dimensione matura e compiuta dalla persona.
Accogliamo la domanda di senso e di verità che ci viene dalle giovani generazioni. Non lasciamole nell’incertezza. Stabiliamo alleanze educative che permettano loro di crescere sentendosi soggetti di una cura.
Famiglia, Scuola, Comunità Cristiana, Istituzioni collaborino fattivamente per percorrere un cammino esigente ed appassionato degno degli Uomini.
Prevosto di Varese
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