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Souvenir

PETRONILLA IN CUCINA

ANNALISA MOTTA - 23/11/2018

cucina-economicaLa mamma cucinava seguendo tassativamente la ricetta. Abituata allo scandire preciso del metronomo ( insegnava pianoforte) non riusciva ad affidarsi alle dosi “a occhio”, agli ingredienti “un po’ di quello un po’ di questo”. E naturalmente, le sue preferite erano le ricette di Petronilla. Che uscivano puntualmente sulla Domenica del Corriere, ma furono raccolte dal 1938 in un prezioso libriccino, che tengo ancora in cucina giusto per affetto.

Che favola! Prima di ogni ricetta, la Petronilla racconta il perché e il per come di ogni piatto, con esempi personali e suggerimenti pratici: “ Vi raccomando… se volete meritare oltre al titolo di brave mogli anche quello di cuoche che san preparare piatti molto buoni e soprattutto molto vari…” oppure “Con quali dolci sorrisi in tutte le case viene sempre accolta la zuppiera ricolma di riso e di pasta cotti nel brodo, ricolma cioè della nostra fumante minestra nazionale che ogni giorno si ammannisce in ogni casa e in ogni trattoria…”. E via consigliando.

E così, libro alla mano, ci si apprestava all’impresa. Prima si toglieva il panetto di burro dal lavandino, dove stava a rinfrescarsi sotto il filo d’acqua corrente. Poi si apriva la moscarola, una gabbietta in rete metallica per riparare verdure e frutta, mentre dalla credenza uscivano pasta, riso, farina, sale, pepe, spezie, cestino del pane. L’olio era quasi sconosciuto (a casa mia, almeno, fuorché per condire le rare insalate).

L’elegante bilancia a due piatti con i pesini disposti in ordine crescente, aiutava a dosare gli ingredienti, che poi finivano nella pentola sulla cucina economica, dove dal mattino sobbolliva nella caldaietta l’acqua per lavare i piatti.

Cucina economica? Cosa mai sarà? Ma come, era il simbolo del passaggio dall’epoca contadina a quella urbana, dalla scomodità campagnola alla modernità cittadina. Non più pentoloni sul camino, appesi alla catena, a riempirsi di fumo e fuliggine, o fornelletti a spirito pericolosissimi e asfittici. Ma un mobile funzionale e polivalente, che risolveva in un colpo tutte le svariate necessità della cuoca. Una stufa, in pratica, con tanto di piedini a zampa di leone, tubo collegato alla canna fumaria, piano di ghisa a tre-quattro fuochi più caldaia estraibile incorporata, bruciatore, forno, scaldavivande, stipo per la legna. Cosa volete di più? Certo non si poteva alzare o abbassare la fiamma con una manopola: ma aggiungere legna per cotture vivaci, o spostare sul bordo la pentola per diminuire il calore, e sempre mescolando, girando, controllando. Però la pasta e fagioli e il minestrone, cucinati lì sopra non hanno eguali, anche nel 2018.

Eh sì, perché ce l’ho io in cucina, questa meraviglia d’altri tempi, e funziona a puntino. “Itala 900”, la marca, l’anno il 1941. Recuperata dalla cantina quando si dava ormai per spacciata, smerigliata via la ruggine, carteggiato il piano in ghisa, spennellato il metalchrome, ed eccola in opera.

Mi raccontavano che il suo acquisto, in quel lontano anno di guerra, non fu indolore: la autorità avevano requisito l’appartamento varesino dei nonni, che si erano dovuti spostare a malincuore in quel di Ghirla. La nonna, abituata alle comodità di piazza Montegrappa, facendo buon viso a cattivo gioco aveva imposto però una condizione: “Voeri la cusina economica ultimo modello”.

E il nonno non aveva potuto che obbedire.

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