Dacia Maraini è una bella e dolce signora ultraottantenne.
L’ho rincontrata domenica scorsa a distanza di qualche anno, a Luino, dove ha ricevuto il Premio Chiara alla carriera.
Ammirevole, per la pacatezza con cui ha risposto alle domande dell’intervistatrice, da quelle più generali: l’infanzia, i viaggi, le esperienze di vita, a quelle più intime come gli amori e la dolorosa perdita dell’unico figlio, morto prima di venire alla luce.
Serena e riconoscente alla sorte per il rapporto amoroso che l’ha legata per lunghi anni allo scrittore Alberto Moravia, compagno della sua vita adulta e per l’amicizia profonda con Pierpaolo Pasolini.
Ferma, nel condannare le violenze a cui troppe donne sono sottoposte da parte di uomini fragili – violenza e fragilità sembrerebbero un ossimoro, invece non lo sono, perché l’uomo contemporaneo che esercita violenza, quando non dà la morte, si comporta come un proprietario abusivo che, incapace di una relazione adulta, regredisce psicologicamente ed emotivamente all’età della pietra.
Dacia Maraini si è contraddistinta nel panorama letterario del nostro paese per il suo ininterrotto impegno civile: coerente e pervicace in ognuna delle battaglie intraprese, da quella attuale, la violenza sulle donne, ai temi mai risolti della nostra epoca: emarginazione, periferie, disparità di genere, mafia e razzismo, tra i tanti.
Gli scrittori come lei hanno la fortuna di poter essere accettati come testimoni del proprio tempo grazie alla visibilità che viene loro dal vasto pubblico di lettori e lettrici.
L’impegno civile non è un obbligo per chi scrive, afferma la Maraini, ma quando c’è riesce a esprimere un messaggio molto forte come è avvenuto a uomini come Dante, lo scrittore italiano più impegnato di tutti i tempi; a Giacomo Leopardi, attento e critico verso il suo mondo, e a tanti altri autori italiani.
Non tutti gli scrittori sensibili al sociale sono andati “oltre” l’impegno, come Pier Paolo Pasolini, uomo che ci viene descritto come dolcissimo e mite, a dispetto dell’apparenza e dell’ardore indignato che emana dai suoi scritti volutamente provocatori.
Una donna realizzata e fortunata, Dacia Maraini.
Nata in una ricca e nobile famiglia, ha respirato cultura sin dai primi giorni di vita. La bisnonna e la nonna erano scrittrici affermate, e si va indietro nel tempo di molti decenni. Il padre era etnologo, antropologo e scrittore.
Cresciuta tra libri, viaggi, incontri significativi con artisti, poeti, scrittori, cineasti, vanta una lunga carriera di scrittrice: il primo libro lo ha pubblicato a soli diciotto anni.
L’ininterrotto successo editoriale l’ha portata a essere anche candidata al Nobel.
Sono donne le protagoniste privilegiate dei suoi romanzi. Con rare eccezioni, come nel libro “La bambina e il sognatore”, cresciuto intorno alla figura di un maestro elementare incontrato durante la visita a una scolaresca. Stupita dalla passione con cui il giovane insegnante si affianca ai bambini nel contesto della scuola elementare, ambiente per storia e cultura da sempre affidato alle donne; ammirata per l’elevata qualità della sua azione quotidiana, per l’energia, l’intelligenza e la creatività profuse, la Maraini lo ha messo al centro di questa sua storia sull’infanzia.
Un particolare tributo di gratitudine la scrittrice lo ha rivolto agli insegnanti, colonna portante di una scuola traballante e in gravi difficoltà, lavoratori purtroppo non riconosciuti né socialmente né economicamente.
Dacia Maraini mi ha profondamente stupita per aver saputo invecchiare con una compostezza tutta naturale, riuscendo a trasmettere saggezza unita a indiscusse bellezza e femminilità.
Una donna con “una grazia dentro”, qualità speciale che la scrittrice ha voluto attribuire a Piero Chiara.
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