(C) Sta facendo rumore, dopo gli Stati Uniti anche in Italia, il libro ‘L’opzione Benedetto’ del giornalista Rod Dreher, tanto da coinvolgermi in due distinte presentazioni nella stessa settimana, pur non avendo ancora terminato di leggerlo. Non aspettatevi una rassegna critica, l’impressione ricavata dagli interventi alla prima presentazione presso il Liceo Manfredini a cura del centro culturale Kolbe, sarà sufficiente per intavolare una discussione.
Comincio dalla sintesi che ne fa l’editore nel risvolto di copertina. “La tesi di fondo è molto semplice: in un mondo come il nostro, molto simile a quello che vide la fine dell’Impero Romano con l’arrivo dei barbari, è necessario fare come Benedetto da Norcia, separarsi dall’Impero per poter ritrovare le proprie origini, radici e identità, così da poter essere in prospettiva, ‘sale della terra’ non insipido.”
Per questo si intitola ‘The Benedict Option’ si presenta come un manuale di sopravvivenza per cristiani emarginati, se non perseguitati, in un mondo ostile non più soltanto alle ingerenze temporali delle Chiese, ma alla natura stessa della religione. I commentatori lo valorizzano o lo criticano soprattutto da due angolature: come grido che esige una risposta identitaria dai cristiani, sia come singoli sia come Chiese, oppure come manifesto di un conservatorismo teologico e moralistico che ha come bersaglio principale le aperture teologiche e morali di Papa Francesco.
(O) Una discussione su questi temi è più che benvenuta. Però non capisco come una domanda di autenticità cristiana possa essere usata come strumento di critica contro il Papa.
(S) Ovvio! E’ in causa l’Amoris Laetitia, anche se Dreher non l’attacca frontalmente. Si sente, però, in sottofondo che individuare nel lassismo sessuale corrente anche tra i cattolici, specialmente giovani, uno dei principali segnali di cedevolezza verso la mentalità mondana, mette in gioco immediatamente i criteri di ‘discernimento’ che nell’enciclica di Papa Francesco paiono innovare la morale matrimoniale tradizionale e accompagnare con una certa condiscendenza la decadenza della famiglia come entità educativa e di trasmissione di valori da persona a persona.
(C) Premesso che certamente non è questa l’intenzione di Papa Francesco, mentre vi vedo piuttosto la preoccupazione di non chiudere la porta in faccia a nessuno, esattamente come nei confronti dei poveri e dei migranti, cosa che mi ricorda un logion di Gesù: “Non sono venuto per i sani, ma per gli ammalati”, va tenuto ben presente che tutta l’analisi sociale di Dreher si riferisce alla realtà americana, dove la percentuale totale di nascite da madri non sposate è del 41%, senza dimenticare quanti aborti hanno preceduto queste nascite e contribuito a contenere questa percentuale. Ma per quanto importante sia la morale matrimoniale e sessuale, il punto che suscita maggior apprensione in Dreher è lo scivolamento, presente in tutte le Chiese cristiane, dalla consolidata dottrina della fede ad una una credenza e ad una prassi generalizzate che egli definisce Deismo Moralistico Terapeutico. In sintesi: anche chi non nega Dio non è più in grado di riconoscerne il volto e lo pensa come una specie di Primo Principio indeterminato e lontano dall’uomo; riferirsi ad esso serve esclusivamente a determinare comportamenti che non provochino conflitti interpersonali e sociali (moralismo) e a sanare o almeno consolare gli individui feriti dalle circostanze avverse della vita e incapaci di dare senso alla morte dei propri cari e alla propria (terapia).
(O) Vedo ben chiaro che se questo fosse il destino del cristianesimo in tutte le sue declinazioni non faremmo altro che tornare al mondo precristiano, forse più che non a quello di san Benedetto. In questo tempo era decaduto in occidente l’ordinamento civile e politico insieme alle certezze economiche e sociali che esso assicurava; tuttavia il cristianesimo, non solo nella sua forma monastica continuava a dare speranza e senso alla vita di popolazioni oppresse dalla povertà e dalle guerre. Al contrario l’Imperium negli anni del suo dominio aveva assicurato sia pure in modo non perfetto una relativa pace e un modesto benessere, per quei tempi, ai popoli ad esso sottomessi; tolleranza e persino favore a tutte le religioni che svolgessero questa utile funzione moralistica e terapeutica, diventando di volta in volta ostile solo a quelle che osassero indicare all’uomo comune un destino più nobile di quello di suddito: l’ebraismo, il cristianesimo e, non stupitevi, il manicheismo. Mi è più consono dire che siamo tornati ad un’età precostantiniana, piuttosto che prebenedettina, ma non vedo nessun Costantino all’orizzonte, neppure sotto forma di riformatore politico conservatore. Ritengo giusto che Dreher metta in guardia i cristiani dallo scambiare Trump per un restauratore del cristianesimo solo perché intende nominare alla Corte Suprema un giudice di convinzioni antiabortiste. Trovo che il passaggio centrale di Dreher sia questo: “ … (Abbiamo) bisogno non del secondo avvento di Ronald Reagan o di chi si offra quale salvatore politico, ma di un nuovo – del tutto diverso – san Benedetto.”
(C) Penso anch’io che la fine di un’epoca di relativo accordo tra le Chiese cristiane e i poteri statali in occidente, scarsamente compensato da una maggiore libertà nei paesi ex comunisti o tuttora tali, (benché da illustri teologi e intellettuali sia stata retoricamente definita ‘fine dell’età costantiniana’) non sia un vantaggio né per le Chiese, né per gli Stati. Ma questo tuo richiamo storico mi ha fatto pensare ad un testo antico : la Lettera a Diogneto, un’apologia scritta da un autore greco non identificato tra la fine del secondo secolo e l’inizio del terzo, ma tornato alla luce solo nel 1436, quando il manoscritto fu scoperto per caso da un giovane chierico latino a Costantinopoli, sul banco di un pescivendolo, pronto per incartare il pesce. Gran parte di questo breve saggio apologetico non si discosta dalla consueta letteratura apologetica: confutazione dell’idolatria pagana e della sottomissione degli ebrei ad una legge costrittiva. Straordinariamente efficace è invece la descrizione della vita concreta dei cristiani in un mondo che generalmente li disprezzava e in parte aveva già cominciato a perseguitarli, sia pure a fasi alterne. Benché il testo sia lungo e non sia la migliore traduzione pubblicata, ma la migliore disponibile in internet, vi propongo i capitoli V e VI.
V. ― I Cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini nè per patria, nè per lingua, nè per nazionalità; giacché non è che abitino in città a sè o si servano d’un linguaggio speciale o conducano un genere singolare di vita. Né certo hanno trovato tale dottrina per cura ed investigazione d’uomini curiosi, sostenendo, come certuni fanno, un sistema filosofico umano. Invece risiedono tanto in città greche che barbare, secondo che ciascuno abbia avuto in sorte, ed osservanti delle costumanze locali quanto al mangiare, al vestire ed al rimanente della vita esterna danno esempio di una forma meravigliosa e veramente incredibile di costituzione sociale interna. Abitano la loro patria, ma come gente che vi si trovi di passaggio; partecipano di tutti gli oneri pubblici come cittadini e sopportano ogni persecuzione come stranieri, ogni paese straniero è patria per loro ed ogni patria come terra straniera. Si sposano come tutti gli altri, fanno figliuoli, ma non espongono i neonati. Apparecchiano una mensa comune, ma pura. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Vivono secondo le leggi stabilite, ma con la loro condotta morale avanzano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Li si condanna e non li si conosce; son uccisi ed è per essi come se si dia loro la vita. Son poveri e fanno ricchi gli altri, son privi di tutto ed hanno a sufficienza d’ogni cosa. Vengono disprezzati e gli spregi si trasformano loro in gloria; s’impreca contro di essi e pur si è costretti a render loro giustizia. Vengono ingiuriati e benedicono, s’insolentisce contro di loro e ricambiano con parole gentili. Mentre fanno del bene son puniti come malfattori, castigati gioiscono come se li si introduca nella vera vita. I Giudei li guerreggiano come eretici e gli Elleni li perseguitano; ma quelli che li odiano, non sono capaci di formulare il motivo del loro odio.
VI. ― Per dirlo in una parola, i Cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima è diffusa per tutte le membra del corpo ed egualmente i Cristiani in tutte le città del mondo. L’anima abita sì dentro al corpo, ma non proviene da esso ed i Cristiani vivono nel mondo, ma non provengono dal mondo. L’anima che è invisibile è imprigionata nel corpo visibile ed i Cristiani si sa che sono nel mondo, ma la loro pietà resta nascosta. La carne odia e combatte lo spirito senza averne ricevuto del male, perché esso le contrasta il godimento dei piaceri ed il mondo odia i Cristiani innocenti, perché si oppongono ai piaceri. L’anima ama la carne e le membra del proprio corpo ed i cristiani amano quelli che li odiano. L’anima è rinchiusa dentro il corpo, ma è quella che lo sostiene ed i Cristiani vengono tenuti come in prigione nel mondo, ma essi lo mantengono. L’anima immortale abita in una tenda mortale e i Cristiani son inquilini delle cose corruttibili, mentre riceveranno nei cieli l’incorruttibilità. L’anima prospera in mezzo alle privazioni di cibo e di bevanda, ed i Cristiani, quotidianamente puniti, meglio si moltiplicano. È Dio che li ha collocati in tal situazione che non è lecito ad essi di abbandonare.
Per farla breve, la mia preferenza va all’ Opzione Diogneto, certo felicemente integrabile con quello spirito della Regola benedettina, l’ Ora et labora, così abbandonato dai nostri contemporanei, come sostegno alla vita individuale e comunitaria. Ma sono convinto che anche noi, nonostante tanti avvenimenti del nostro tempo e la caduta delle certezze ci provochino un giustificato senso d’angoscia, siamo stati collocati da Dio in una situazione che non ci è lecito abbandonare. In questa resistenza non siamo però costretti ad un eroismo individuale o ad uno spontaneismo movimentistico già da tempo definito ‘sacro selvaggio’; l’autorità fondata su Pietro ci guida e i sacramenti ci sostengono nel cammino quotidiano; nuovi carismi e nuovi santi ci accompagnano nel compito dell’annuncio, rendendoci lieti come l’ignoto autore della Lettera a Diogneto e capaci di sostenere anche i nostri compiti di laici nel mondo, pur non essendo del mondo.
(C) Costante (O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi
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