Dei santi che infittiscono il calendario di questo ormai caduco mese autunnale di novembre ve ne sono alcuni di molto importanti, e a noi vicini, di cui meriterebbe parlare. A cominciare da quella più prossima come ricorrenza, la martire santa Caterina d’Alessandria, africana dunque, molto venerata nelle terre varesine che le hanno dedicato chiese, chiesuole e santuari (festa il giorno 25 novembre).
Per dire poi di sant’Andrea apostolo, il fratello di Pietro (30 novembre), di santa Cecilia, la patrona dei musicisti (22 novembre), di san Martino, il santo del mantello e vescovo di Tours (11 novembre), che in città ha un’intera contrada e un’antica chiesa dedicate.
Ma soprattutto merita parlare più diffusamente del nostro santo ambrosiano per eccellenza, san Carlo Borromeo, compatrono della diocesi dove fu arcivescovo, la cui ricorrenza ha aperto – il giorno 4 (quest’anno la festa per ragioni liturgiche è stata spostata alla domenica 5) – il mese novembrino. Anche per una questione di giustizia: di san Carlo, ogni volta che lo si cita, si ricordano più spesso le asprezze e l’ombrosità del carattere che l’indubbia santità. Per un fatto molto semplice: l’uomo viene giudicato con il metro e la sensibilità di oggi, che per capire la storia e il passato – sono trascorsi poco più di quattro secoli dalla sua morte – non è mai un buon metodo.
Gli dobbiamo rendere tutto il merito che gli spetta. È il nostro santo, si diceva, il santo del lago Maggiore che impronta il “ridente” paesaggio lombardo e piemontese. E non è un caso che anche santa Caterina d’Alessandria sia proprio qui celebrata, a Leggiuno, con un santuario e antico eremo che del lago Maggiore è una preziosissima perla.
Di san Carlo, il prete difensore della controriforma cattolica, colto e generoso con i poveri, pieno di spirito e di obbediente e rispettosa devozione ci sono tracce dappertutto: dipinti che lo ritraggono sempre in abiti cardinalizi, il volto magro e un po’ emaciato, la barba lunga di un paio di giorni, lo sguardo ascetico, il nasone prominente. Anche nella nostra città c’è una parrocchia che lo ricorda.
Ma per noi varesotti occidentali e vicini al lago Maggiore, e per i piemontesi della Bassa, san Carlo Borromeo è ricordato soprattutto per il colosso in rame – il famoso Sancarlone – che domina Arona, la città natale del santo. La statua è alta ventitré metri con un piedistallo di dodici, cosa che la pone tra i simulacri più alti del mondo. E in effetti lo è, seconda solo – dal 1886 – alla statua della Libertà, monumento-simbolo degli Stati Uniti che si erge a New York al centro della baia di Manhattan.
I legami dei varesini con il “Sancarlone d’Arona” sono molteplici, e non solo per il fatto che il colosso può essere visitato e salito dall’interno fino al cranio (una volta si raccontava che quattro aronesi, ogni tanto, vi portassero su un tavolino per una partita alle carte) da cui – dai fori degli occhi e degli orecchi – si intravede il paesaggio del lago. C’è ormai qualcosa che appartiene alla vita degli uomini del lago Maggiore in quella statua gigantesca e speciale di San Carlo, raffigurato in mozzetta e rocchetto e mantella, con la mano destra benedicente e con la sinistra che trattiene il libro dei sinodi costituzionali del Concilio di Trento.
Lo scrittore luinese e varesino Piero Chiara, quarantaquattro anni fa, gli dedicò un lungo racconto: Sotto la sua mano, il primo di tre (gli altri due sono la Banca di Monate e Il giocatore Coduri), dove nella sua fervida e trasgressiva fantasia di narratore, immaginò che per realizzare la statua fu usato il rame del colosso di Rodi, almeno quanto raffigurava la parte prominente e nota del corpo umano.
La statua – si annota nelle cronache – fu voluta dal cugino di san Carlo, eanch’egli poi succedutogli alla cattedra di arcivescovo di Milano cardinale Federigo Borromeo, il cardinale dei Promessi spossi del Manzoni. Fu disegnata da Giovan Battista Crespi detto il Cerano, dal Comune novarese in cui crebbe, realizzata dagli scultori Siro Zanella di Pavia e Bernardo Falcino di Bissone, quest’ultimo il comune ticinese dove nacque il grande architetto del barocco romano Francesco Borromini.
Anche il Cerano è un artista noto e cari ai varesini: vissuto tra sedicesimo e diciassettesimo secolo, alla pari del Morazzone, vede custodita una sua opera nella cappella di san Gregorio, la Messa di san Gregorio, la prima sulla destra entrando nella basilica cittadina di san Vittore.
Il Sancarlone, secondo gli intendimenti del cardinale Federigo Borromeo, doveva rappresentare il punto di arrivo di un sacro Monte sopra il borgo di Arona. La realizzazione si fermò alla prima cappella ma la statua – alla fine del Seicento – era già pronta.
I borgi del Varesotto occidentale, il lago e Arona – più che Milano – dove san Carlo, dopo aver celebrato la sua ultima messa, fu trasportato morente la sera del 3 novembre del 1584 attraverso il Naviglio Grande e a bordo del “Barchett de Boffalora”, sono i luoghi della nostra tradizione, della nostra memoria.
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