Leggendo un libro di storia dell’arte ho incontrato la vicenda, già mi era nota, del Divisionismo, movimento pittorico sviluppatosi a fine ‘800 e in Italia affermatosi grazie a pittori di talento come Segantini e Pelizza da Volpedo. Il “Quarto Stato” di Pelizza sarebbe diventato una icona, una bandiera dei lavoratori e delle loro lotte per l’emancipazione.
Proprio per essere stata questa tela “politica” oltre che esempio propagandistico del divisionismo, è scattata in me quella che gli esploratori della psiche chiamano associazione di idee che alla fine mi ha fatto approdare a una storica e negativa caratteristica della politica. Infatti in una ipotetica e non facile classifica degli inguaribili difetti italici la voglia matta del potere porta sempre a spaccare, frazionare, contrapporre ed è tale da essere seconda solo alla corruzione, già dominante prima dei tempi dell’impero. romano.
Tacito, storico che non faceva sconti, ne individuò le cause addirittura nel sistema legislativo: “plurimae leges, res publica corrupta”, analisi che è rimasta perfetta nel tempo e che quindi si adatta, processi e furbate alla mano, alla odierna Italia che, ecco un esempio recentissimo, in mezzo secolo ha dilapidato il capitale di valori offertole dagli uomini che le avevano fatto conoscere libertà democratiche mai viste e godute nei secoli precedenti. Niente a che fare dunque con i divisionisti che dipingevano quadri luminosi, di serena lettura grazie a una tecnica fatta di puntini e tocchi lievissimi sulla tela. Insomma oggi c’è da preoccuparsi per lotte e confusione in tutti gli ambienti politici e anche in molte amministrazioni locali, regioni comprese, dove per esempio affiorano di questi tempi crepe nel Centrodestra, dovute anche a picconate governative tra i gialloverdi protagonisti di un’alleanza che sembra sconcertare i loro elettori, l’Europa e ovviamente anche i resti di nostri potenti partiti.
Il divisionismo politico ha colpito duramente anche a Varese e lo ha fatto addirittura nelle schiere dei vincitori delle elezioni comunali di due anni fa. Il richiamo di questo antico vizio si impone come semplice ma necessario amarcord – o meglio un “maregordi” in lingua locale- utile a tutti.
E’ successo dunque che anche a Varese i divisionisti siano emersi e abbiano colpito al loro interno prima ancora di interessarsi dei problemi dei cittadini e quasi senza festeggiare adeguatamente il ritorno alla guida della città dopo 67 anni di dominio di un Centrodestra democratico.
E’ successo che per lotte interne alla coalizione guidata dal sindaco Galimberti non sia entrata nella giunta Luisa Oprandi che aveva raccolto centinaia e centinaia di preferenze. Gelosie e cattiverie, il peggio del divisionismo, contro una candidata scelta con fiducia ed entusiasmo dall’elettorato, il vero protagonista dello storico ribaltone a Palazzo Estense.
E i dissensi interni a partiti e liste civiche sono poi continuati con trasferimenti da un colore all’altro: molto più accettabili le dimissioni dall’incarico di consigliere comunale. Rispetto a deputati e senatori che mai rinunciano a privilegi enormi dei parlamentari tradendo pesantemente i loro elettori, simili situazioni a livello locale hanno minore incidenza ma dovrebbero insegnare molto di più a chi si sente autorizzato a fare della politica uno sgabello o un montascala personali.
I partiti possiamo paragonarli a squadre che hanno le loro strutture, tra le quali c’è la massa dei tifosi che pagano il biglietto, Oggi i fischi alla giunta Galimberti sarebbero pericolosi considerato il passato, fatto di niente, dei governi varesini di Centrodestra, senza valutare anche il consueto zero che è arrivato da Milano. Ma non è finita: se andranno in porto i progetti di Salvini e Di Maio, saranno delusioni grandi, anche per le piazzeforti degli elettori leghisti. Dimenticavo: per Salvini Varese non è mai esistita. Siamo il popolo bue che deve votare e basta. Lo siamo stati anche per Berlusconi.
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